giovedì 18 ottobre 2018

0.


Capitolo 0 - Perché è importante

Perché l'improvvisazione è (così) importante? La scorsa puntata ci siamo salutati con alcuni consigli di lettura e ascolto. Quasi di soppiatto, nascosto fra le righe, c'era anche un link a un articolo di "The Wire" riguardante una serie di incontri radiofonici, tutt'ora in onda, settimanalmente, incentrati sull'improvvisazione e gli aspetti umano - filosofici della pratica. A tenere questi squisiti simposi c'è Caroline Kraabel, sassofonista militante, attivista, conduttrice (non sempre) e membro della LIO, London Improvising Orchestra. Nel senso, una che ne sa a vagonate sull'argomento. Possiede un approccio pacato, conduce la conversazione in una maniera che, guardando la televisione moderna, non mi ricordavo neanche potesse esistere, con domande mirate ma giudiziose, rispettosa, apporta linfa alla conversazione senza interrompere, senza snaturare il dialogo dell'interlocutore. Alla fine si forma una sorta di informalità discorsiva, una narrazione fra due personaggi, ciascuno dei quali apporta la sua esperienza rispetto a una tematica comune che sorge prima, durante o dopo la narrazione stessa.
Le ultime parole sono incomprensibili se non si conosce la struttura di queste puntate radiofoniche. Innanzi tutto sono trasmesse da Resonance FM, radio indipendente londinese che fa comunella con tutta una serie di realtà più o meno oblique e politico - militanti londinesi (e inglesi) fra cui The Wire. La struttura si ripropone in tutte le puntate, almeno in quelle uscite fino ad ora. Si apre con un brano, necessariamente improvvisato, proveniente dalla produzione dell'artista invitato oppure, come nel caso della puntata del 11 ottobre 2018, con un brano "inedito" nato dalla collaborazione di Caroline con l'ospite (in questo caso specifico la violinista e polistrumentista Pei Ann Yeoh). Faccio una doverosa precisazione: di tutte le puntate trasmesse fino ad ora, solo quella sopracitata, quella con la violinista polistrumentista Pei Ann Yeoh, presenta un brano inedito nato dalla collaborazione fra l'ospite e la conduttrice. Le altre sono incentrate sull'intervista e vengono accompagnate, all'inizio e alla fine, da brani tratte sopratutto dalla discografia o da registrazioni live della LIO.


Capitolo 1 - Entrare nel vivo

Entriamo nel vivo quindi.  Il post scorso abbiamo ampiamente parlato di cosa significhi improvvisazione per me, alla luce delle mie scarsissime esperienze in materia. Siamo giunti alla raffazzonata conclusione, condita con una massiccia dose di entusiasmo, che l'improvvisazione sia una branca artistica dell'empatia, una sorta di palestra dell'immedesimazione dell'ascolto. Più che una palestra, utile per affrontare l'insidia della realtà, ribalterei le cose, definendo la realtà una palestra per affrontare la battaglia dell'improvvisazione. Ma neanche così è corretto, l'improvvisazione non è mica una battaglia. Non importa, ci sarà tempo per affrontare la gerarchia fra vita sociale, reale e realtà improvvisata, performance. Posto che sia una gerarchia ma anche qui, lascerei la parola al me futuro. 
Sicuramente quanto detto in precedenza, sul post numero 1, è reale, proviene dalla mia mente e lo sottoscrivo in pieno. Però è pur sempre frutto di un'epifania, non di un meticoloso studio e di una altrettanto meticolosa pratica. Dico pratica perché studio poco si sposa con l'idea di improvvisazione. I protagonisti del Podcast sono persone che navigano (o si lasciano navigare più precisamente) il Maelstrom da anni, se non decenni e parlano con cognizione di causa, con il polso dell'esperienza. La loro è certo un'esperienza soggettiva, inclusa in un contesto comunitario ed è espressione di un viaggio, una sorta di studio naive dentro i meandri della pratica. Riescono a sviscerare una serie di tematiche molto importanti fra cui la relazione fra società e improvvisazione, i ruoli che si sviluppano, le problematiche, il dialogo; tutte cose che non nascono, per tornare al discorso di prima, dentro un novizio dell'improvvisazione, sono domande che posso avere all'interno di me, avendone sperimentato gli effetti ma non riesco sicuramente a concretizzarle attraverso il linguaggio. Come Uochi Toki quando scolpisce un'idea astratta dell'immaginario collettivo. 

Durante i dialoghi vengono affrontate anche le relazioni che l'improvvisazione, nella mia mente prima di tutto musicale, possiede con le altre arti, in particolare con il disegno e la danza. Sono associazioni strane da trattare per quanto mi riguarda poiché aliene alla mia sensibilità ma comunque reali nella pratica. Sono legami che, ad essere esplorati, potrebbero apportare un livello nuovo di consapevolezza e sopratutto un nuovo e potente modo di trasportare l'improvvisazione all'interno dell'idea di comunità. Il concetto di inclusione si riferisce proprio a questo: artisti visivi o ballerini, fino a poco fa non avevano "tantissimo" spazio nel mio piccolissimo universo di improvvisazione. Ora, dopo l'ascolto, sicuramente si ritaglio un posto di democratica condivisione, il disegno in primis (ma solo perché ho assimilato meglio l'episodio, lo ammetto). 

Caroline inoltre spinge molto l'acceleratore sulla relazione fra improvvisazione e società. La domanda viene posta a tutti gli intervistati, quello che cambia è il contesto in cui la domanda viene calata. Probabilmente è il fulcro di tutta la narrazione, la relazione che esiste fra, per esempio, industria musicale, capitale, struttura sociale e improvvisazione, passando però fra la rappresentazione dei ruolo nel gruppo e la stessa all'interno del macro cosmo sociale. Sono cose veramente profonde che, ovviamente a posteriori, posso anche ritrovare nella mia di esperienza, per quanto piccola. Lo spettatore, il musicista, il tipo di musicista, la diversa personalità sia in un caso che nell'altro, sono tutti attori protagonisti dell'istante performativo così come della realtà sociale. Da questi due scenari le persone possono trasportare nell'altro la propria esperienza, arricchendosi e arricchendo gli altri. Per questo prima parlavo di palestra e ci tengo a tornare rapidamente sull'argomento: l'improvvisazione è sì una palestra in cui affinare il proprio concetto di comunità e di relazioni. Lo è nella misura in cui rappresenta la carne viva, il collegamento scoperto fra le persone. Probabilmente perché prescinde dal linguaggio o dall'intermediario (anche la musica è un linguaggio ma l'improvvisazione prescinde da, per esempio, uno spartito). Sottolineo però che non esiste una gerarchia fra contesto dell'improvvisazione e realtà sociale. Anche perché, secondo Caroline ma anche secondo me, anche se non riesco a metterlo in pratica come probabilmente fa lei, l'improvvisazione è una "Everyday Practice", un mantra quotidiano. L'improvvisazione è anche applicata da tutti noi, più o meno involontariamente, nelle conversazioni con persone che non conosciamo. Per questo un altro tema abbastanza ricorrente durante le trasmissioni, è il concetto del "gruppo" di improvvisazione come un qualcosa che cadrà, involontariamente o meno, facilmente o meno, nella ridondanza e nel "pattern". Questo concetto non è del tutto vero secondo me e dipende molto dall'espressività degli strumenti, non dei musicisti. Certo è che una relazione stabile, extra musicale, fra i componenti, impatta alla lunga sul reinventarsi stesso ma è anche un concetto che mutua molto dagli strumenti tradizionali: credo che la nuova generazione di improvvisatori, con l'ampio utilizzo dell'elettronica e del computer, possa in qualche modo smarcarsi da questo, avendo a disposizione un universo di possibilità sonore. A questo si lega poi il concetto di tecnica più che di teoria musicale come base per la nuova improvvisazione ma a questo penseremo decisamente un'altra volta.


Un altro, affascinante e ricorrente, tema delle discussioni è la condivisione del potere all'interno della performance. Il potere sociale possiamo immaginarlo più o meno tutti a seconda delle nostre capacità e caratteristiche di vita. Il potere nell'improvvisazione è, da un lato, il saper guidare gli altri attraverso il gorgo, e questo viene detto più precisamente "conduzione", dall'altro è l'emergere dalla comunità per passare al singolo, per esporsi. Anche per questo argomento vale la regola della mia ignoranza più o meno totale e dell'incapacità di esprimermi correttamente pur avendo una vaga idea del concetto. Pensiamo per esempio ad un gruppo jazz, o non necessariamente jazz, tradizionale: i componenti conoscono un tema che si ripete nel corso della canzone e progressivamente, a turno, si scambiano il potere di emergere nella realizzazione di un assolo. Un grande esempio, prolisso ma emotivamente molto importante per me è sicuramente questo. Potrebbe sembrare una scelta democratica, la scena si alterna fra i vari componenti senza grosse prese di potere o imposizioni ma ci sono vari punti che stravolgono questa idea democratica:
- la presenza di una scena: c'è una scena da prendere, c'è una catalizzazione dell'attenzione su un singolo componente. Questo è, alla base, poco democratico perché limita l'espressività degli altri. Nell'improvvisazione la scena non esiste perché, nel caso più bello e coinvolgente, ogni aspetto della performance, dai musicisti, agli spettatore, alla "temperatura della stanza" come dice giustamente Caroline, fa pare di un unico momento performativo. Potremmo anche ammettere la presenza di una scena ovvero tutto quello che succede ma allora dovrebbe definire la condivisione della scena stessa.
- la paternità: il tema è di Chick Corea, è suo, patentato, copyraiato. Una sua specifica proprietà. Quando gli spettatori vanno a sentire Chick Corea, vanno a sentire lui e lui soltanto. Gli altri componenti del gruppo sono relativamente importanti, non lasciano un'impronta nella mente delle persone. In un gruppo di improvvisazione gli spettatori, oltre a far parte della performance, non fanno distinzioni fra i musicisti e anche se questo dovesse accadere, la natura completamente aleatoria dell'evento potrebbe stravolgere le loro aspettative. Come dire che i musicisti potrebbero benissimo suonare nascosti da una parete (anche se questo eliminerebbe il vitale aspetto fisico ma ci siamo capiti). L'ultima frase getta luce su di un tema a me molto caro che è l'anonimato nel concerto o nella musica in generale. Molto probabilmente ci sarà un post dedicato a un libro, un piccolo almanacco, che ho letto recentemente sul rapporto fra improvvisazione e capitale. In uno dei capitoli viene affrontato il concetto di proprietà intellettuale, copyright, copyleft, creative commons e anti-copyright e sul rapporto che hanno con l'industria musica e con la musica improvvisata. Anche in questo caso l'argomento è ancora oscuro per quanto mi riguarda ma punto a una chiarificazione e una dettagliata trattazione quanto prima, dopotutto è un argomento su cui porsi delle domande. Potrei anche azzardare un "la proprietà è un furto" essendone anche abbastanza convinto ma vorrei sicuramente approfondire. Siamo stati abituati a esercitare una proprietà privata sulle cose materiali e immateriali ma in realtà vale l'affermazione che

Quando io e te abbiamo una mela a testa e ce le scambiamo, entrambi terminiamo con una mela. Quando io e te abbiamo un'idea a testa e ce le scambiamo, entrambi terminiamo con due idee. 

Questo è molto interessante perché apre due prospettive opposte: da una parte la collettivizzazione delle idee e di conseguenza della musica ("io sono ben felice di condividere la mia musica e le mie idee così come sono felice di riceverne da altri"), dall'altra chiude la porta a doppia mandata tutelandosi attraverso dei sistemi di protezione delle proprietà intellettuale. Se condividiamo un'idea almeno che questa condivisione sia a pagamento e ci permetta di trarne un profitto. In questi termini l'improvvisazione è l'anatema, poiché non posso commercializzare o proteggere qualcosa (un'idea, un pezzo di musica) che esiste solo ed esclusivamente nel presente e la cui registrazione vale nulla, di fatto, poiché non tiene conto delle variabili irriproducibili come la temperatura della stanza o gli spettatori e le loro emozioni. 
Ad ogni modo non voglio dilungarmi su questo argomento e chiudo qui il paragrafo, sicuramente torneremo a parlarne perché è qualcosa che mi sta decisamente a cuore. 


Capitolo 5 - Iperspecifico

Molti dei temi che abbiamo introdotto legandoci alla trasmissione di radio Resonance, verranno senza ombra di dubbio discussi in un'altra sede. Ora vorrei parlare precisamente di uno degli episodi, quello in cui compare, come invitata e interlocutrice, Julie Pickard, personaggio a me assolutamente sconosciuto prima d'ora. Cosa fa Julie Pickard? Cosa c'entra con l'improvvisazione?
Julie è un'artista grafica, non musicale. In realtà studia pianoforte durante l'infanzia ma, anche se effettivamente la posizione della mani, la tecnica di quella che vedremo dopo essere la sua principale attività, mutuano molto dalla pratica del pianoforte, abbandona per dedicarsi all'arte visiva. Parafrasando: è una disegnatrice che poco o nulla ha a che vedere con la musica suonata, al massimo, per sua stessa ammissione, si ritrova nel ruolo di spettatrice. 
Perché dunque invitarla ad un dibattito sull'improvvisazione? La verità è che la cara Julie produce dei disegni dal vivo, suggestionata dalla musica improvvisata. I disegni sono a loro volta improvvisati, una sorta di produzione grafica subcosciente rituale in cui Julie vaga guidata più o meno da ciò che ascolta e da ciò che vede mentre i musicisti suonano. 
Partiamo da qualcosa di tangibile così tutti sappiamo di cosa stiamo parlando: sul sito della London Improvisers Orchestra trovate alcuni suoni disegni. Sono molto stilizzati, rapidi, il tratto sottile, quasi astratti direi anche se è possibile riconoscere delle suggestioni di strumenti o volti o figure umane. Julie afferma più volte che questi oggetti reali possono comparire spontaneamente nel disegno a seconda del momento o dell'idea che le frulla in testa. Aggiungo: basta andare sul sito personale di Julie Pickard per avere un'idea un po' più significativa.

Cosa dice Julie riguardo a quello che fa? Lei semplicemente va ai concerti (all'inizio, ora viene invitata dai musicisti o dall'organizzazione) con il suo borsello, i suoi pennarelli a punta finissima di diverso colore e i suoi fogli di carta di diverso tipo e dimensione. I musicisti si dispongono, cominciano a suonare, aumentano e diminuiscono l'intensità e lei semplicemente li segue, senza entrar a far parte della performance. Il suo ruolo è esterno anche se viene ovviamente influenzato. Può fermarsi, può iniziare o finire prima o dopo i musicisti senza che questi ne vengano condizionati. Sicuramente questo rappresenta una libertà poiché mi lascio attraversare senza che il mio lavoro si ripercuota sugli altri. Un disegnatore che impatta sulla performance è una cosa completamente diversa, diventa un musicista di fatto. Anche Julie argomenta questo, ricordando un esperimento con un microfono a contatto sulla sua mano. Lascia intendere che preferisce un approccio esterno nonostante l'esperienza sia stata un "qualcosa di completamente diverso". 
Interessante l'utilizzo dei colori. Se per un musicista le note e le variazioni sonore possono essere dei modi per espandere la narrazione dell'improvvisazione, per un'artista grafica come Julie la questione è più complicata poiché deve contemporaneamente disegnare e improvvisare, non sta facendo un ritratto per capirci, non ha tempo per pensare o per cambiare da colori a olio alle tempere. In suo aiuto viene il tratto, il tipo di pennarello, ovviamente il movimento della mano o di entrambe le mani e il colore. Colori diversi evocano sensazioni diverse, ed è solamente la rappresentazione mentale della musica, una cosa completamente personale, a decidere l'eventuale cambio. Per me il blu potrebbe rappresentare un suono stridulo, pieno di alte frequenze, o uno metallico, mentre il rosso una cupa vibrazione bassa, un suono ritmico, ma è una mia rappresentazione, è il mio modo di disegnare la musica. 
Improvvisazione nel disegno significa anche trascendere il concetto di tecnica. Disegnare con due mani, una cosa che Julie afferma di fare e che mi affascina molto, trasforma l'atto in un balletto, in cui le linee si possono allontanare, avvicinare, accoppiare, proprio come durante un'improvvisazione, fra il basso e la batteria o fra i suoni elettronici, le urla, i ticchettii. Il foglio può diventare un campo di battaglia con estrema facilità, se la contingenza del momento mi spinge a farlo, posso addirittura uscirne, disegnare sulle mani, per terra, sulle altre persone (qua forse sto divagando un po' troppo ma ci siamo fatti un'idea).
Come afferma un'altra invitata del programma di Caroline, si entra in uno stato di trance, una sorta di perpetuo presente in cui l'unica cosa che conta è l'attimo. L'altra invitata di cui parlo è una cantante, docente di improvvisazione la quale, nel momento della catarsi, evoca parole, parole di senso compiuto dalla propria mente, concetti che, seguendo un invisibile filo conduttore, si dispongono e si dipanano. Lo stesso potrei dire di Julie, anche se lei non lo esprime con così tanta chiarezza.

Prima di passare alla mia umile esperienza in merito, esperienza che si vedrà legata alle foto che accompagnano questo post, punto i riflettori su una bellissima cosa detta da Julie durante l'intervista. Nella sua carriera di disegnatrice e improvvisatrice, le è capitato che due musicisti le chiedessero un disegno da utilizzare come spartito per una sessione di improvvisazione. Purtroppo è successo solamente una volta ma è una cosa che per quanto mi riguarda è veramente sconvolgente. Un paradosso dentro il paradosso nel momento in cui uno spartito, la cosa più lontana dal gioco dell'improvvisazione è in realtà un'opera di improvvisazione. Non è lo stesso che avere un foglio con scritto "improvvisa", sono due cose diverse per quanto mi riguarda: è l'interpretazione nell'interpretazione, un gioco di rimandi, non un condividere il microcosmo interno assieme ad altri musicisti. Non so se quello di Julie fosse un tentativo isolato poi ripetutosi nel futuro. Sicuramente lei ne parla con entusiasmo e, per quanto mi riguarda e per quanto ne so, potrebbe essere una frontiera da valutare con decisa attenzione.

La mia esperienza con il disegno improvvisato è stata rapida ma significativa ed è sostanzialmente durata una sera. Quello che ho fatto è però diverso da quanto portato da Julie: sono diventato attore protagonista della performance musicale utilizzando varie sistemi di registrazione dell'atto del disegno. Purtroppo non ho avuto modo di improvvisare su carta durante una performance musicale quindi ho dovuto seguire una patch modulare quasi auto generativa e disegnare le suggestioni evocate. Devo ammettere che è stato veramente totale. Ho potuto assaporare il mio personale iper presente che tanto riferiscono, la catarsi, la mano che si muove autonoma priva di uno stimolo cosciente (ma guidata da chissà quale moto di spirito). Le foto allegate sono tutti disegni che ho fatto durante queste prove. Purtroppo, ed è una cosa limitante mi rendo conto, non ho registrato nulla e quindi la cosa cade un po' a metà, nel vuoto. Ci tenevo però a esprimere queste impressioni che secondo me sono importanti nel momento della crescita artistica personale.
Tecnicamente ho amplificato e microfonato una lastra di plastica sospesa fra tavolo e sedia. Su questa lastra ho poi disegnato quello che si vede nelle foto. Ho seguito in parte quanto veniva più o meno autonomamente prodotto dai moduli, in parte le riverberazioni e i feedback di quanto stavo io stesso facendo. Il resto è stato un buttarsi nel gorgo e lasciarsi trasportare. Ci sono stati dei pattern ricorrenti, per esempio la cornice oppure linee spezzate. Alla fine di una delle sessioni ho appallottolato il foglio attorno al microfono producendo quella pallina che si vede all'inizio del post.

Insomma, tantissima carne al fuoco anche questa volta. Piano piano stiamo dipanando una trama di suggestioni e argomenti veramente molto profonda. Per trovare i podcast a cui mi riferisco, basta andare su mixcloud e cercare "Why is improvisation important?". In realtà il punto di domanda non serve. Per ora sono 5 episodi e vengono pubblicati con una cadenza settimanale.


Nessun commento:

Posta un commento