domenica 19 febbraio 2017

Lucio Battisti - Anima Latina


Chiariamo subito una cosa. L'indiscrezione è che Battisti fosse un fascio di merda, misogino, reazionario, borghese etc.. Io non stento a crederlo. A prescindere dal fatto che questo giudizio proviene dalla lettura dei testi delle sue più famose canzoni, scritte da Mogol e quindi sarebbe lui il fascista, in Anima Latina queste discussioni vengo polverizzate dallo spessore totale (nelle sue altre produzioni e quasi nella totalità della musica leggera italiana) delle canzoni. Un disco visionario Anima Latina, stracolmo di citazioni, rimandi, sperimentazioni. Mogol firma tutta la produzione vocale (Anima Latina fa parte del periodo Mogol di Battisti) mentre è Luci (oh) a pensare e gestire le musiche. Questa cosa mi è sempre sfuggita alla valutazione quando approcciavo battisti da adolescente: Battisti firma le musiche. Ragioniamoci un attimo. Battisti, Lucio, pensa e dirige la creazione della totalità della musiche di Anima Latina. Ascoltatelo con questa valutazione in testa. 

Detto questo, dopo un bel po' di tempo intercorso fra la prefazione e le righe che seguono, procediamo col parlare di questo disco.
Ho maturato la convinzione che, a parte pochissime eccezioni (Sognando e Risognando tratta da Umanamente il sogno, in primis) ci sono ben poche canzoni di battisti che mi affascinino come mi affascinano quelle contenute in "Anima Latina". C'è qualcosa di magico in questo disco, qualcosa di oscuro e occulto, come un rituale panamericano antico e proibito. La visione che battisti (o mogol) ha del latino america è in realtà molto occidentale, quasi borghese, da buon selvaggio ([...] da femmina latina a donna america, non cambia molto sai [...]) ma traspare una sorta di consapevolezza: come se, partendo dalla prospettiva "turistica" dell'album si sprofondasse in un vortice di lisergismi, profondità amazzoniche, riti orgiastici, sangue, balli sfrenati. La canzone omonima è paradigma di questo processo: il testo è naive, superficiale, quasi banale o addirittura irritante, irrispettoso della vera anima latina, come se dovesse essere mogol ad identificarne una (o qualsiasi altro occidentale). La musica però spazza via tutto, veramente, un vortice pastorale psichedelico, colmo di poliedriche soluzioni ritmiche, cori, chitarre incessanti, i fiati.

La sessualità, la femminilità, la penetranza nella terra e nelle sue origini è il mezzo, in anima latina, per il raggiungimento di uno stato spirituale a-temporale. Leggete la progressione nelle canzoni, la presa di coscienza, la consapevolezza del tutto attraverso l'altro. Anche attraverso gesti di una sessualità apparentemente banale e borghese ("Due Mondi" ma anche "Anonimo").
Gli apparenti punti deboli del disco diventano sacrificio, passaggio necessario per il raggiungimento della comprensione e questo li eleva a perle, porte, ponti verso l'astratto.

Il cuore pulsante di questo disco è un misto malinconico di prog, soffuso romanticismo, ritualità ingenua, magia cosmica. Tutti i brani sono speciali, ognuno porta dentro di se la chiave per leggere gli altri. Questo è un disco che si ascolta tutto intero, dall'inizio alla fine, oppure non si ascolta proprio.

Come tutti gli ascoltatori le corde emotive possono essere più sensibili a determinate frequenze più che ad altre. Ma un'introduzione eccelsa come ("Abbracciala, Abbracciali, Abbracciati") non può lasciare indifferenti. è il contenitore definitivo dove Lucio e Mogol riversano tutto quello che, musicalmente e poeticamente, verrà sviscerato nel corso delle tracce successive. "Mia cara cara amica. Che ne dice se noi, portiamo a termine la nostra dolcissima fatica? Allontaniamoci verso, il centro dell'universo". è la frase che chiude il brano ed è di una potenza inarrivabile. Mai nessuno è riuscito a scrivere (e a comporre musiche in simbiosi) qualcosa di così devastante. Si, uso una terminologia da black metal perché è l'unica maniera di esprimere un concetto così forte. Dentro c'è realmente tutto. C'è la ricettività, l'aspirazione allo spiritualismo, la perdita di sé stessi nell'altro, l'abbandono del proprio io o la sua esaltazione attraverso il donarsi, l'abbracciare. Altro che borghese e fascista. Tacciato di superficialità qua (se lo è mai stato) si redime creando un pozzo di emozioni da cui attingere sempre.

E uomini celesti, con i suoi tappeti sintetici provenienti dalla contemporanea scuola progressiva, è agrodolce, quasi disilluso, un circuito chiuso in cui la deprivazione dei sensi, l'inganno delle fedi, dell'altro, è solo palliativo ad un malessere che deve estirpato alla radice, elevarsi, annullarsi, perdersi. Qua la crema jazzistica si ritrova in una stanza atemporale, uno spazio chiuso in cui riversare la perfezione risparmiata in anni di pratica, qualcosa che va oltre al tecnicismo, una perla musicale che viva una vita propria ("uomini celesti ripresa").

E poi Due mondi ripresa che prende quell'innocenza, rapido amore, esplosione di sensualità e li rivolta come un guanto, espone gli aspetti distruttivi, melanconici di una relazione oscura, fatta da persone (apparentemente) diverse, abissi socio - culturali a separarli. L'ombra di un dubbio, il fantasma della violenza. Ed è paradigmatico il mettere questa ripresa melanconica dopo la canzone vera e propria. Una predizione, un futuro incerto che aspetta due amanti che già hanno esplorato tutti i possibili lati della loro relazione. Ed è pure uno stacco con il cuore pulsante del disco, la canzone omonima, di fatto, parte subito dopo questo piccolo buco nero di melanconia, quasi a voler separare una parte fisica, carnale, da una spirituale e antica; oppure soffermandosi su di lei, sulla bella latina e sottolineando lo stupore occidentale, borghese, di fronte a queste profondità culturali.

Le interpretazioni sono infinite in questo disco di battisti più che in altri. Lo sono per il semplice fatto che sono infiniti i contenuti, le dinamiche musicali e le profondità liriche. Io non credo esista un disco così profondo nella storia della musica italiana. Ecco, forse un altro aspetto da considerare è l'insolubile legame che unisce questo disco al contento storico in cui è immerso: anima latina parla ad un popolo italiano, non parla al mondo. L'esclusività non è qui vanto ma pura e semplice oggettività: nessuno può capire questo disco se non un italiano consapevole del rapporto socio - culturale fra musica. emotività, sacralità, politica, che esisteva in quel preciso periodo storico. Un'obiezione facile sarebbe quella di dire che chiunque, studiando, può accedervi ma in realtà manca una sorta di codice sociale, un atteggiamento di apertura e consapevolezza che ha caratterizzato quelle generazioni di artisti e musicisti e che noi, ora, possiamo percepire come strascico di quell'eredità.

Il disco si chiude con la coppia "Macchina del Tempo" / "Separazione naturale". Due brani che parlano per simboli e criptici messaggi. E sono al contempo dei capolavori di complessità progressiva. La melanconia qua si fa palpabile, tensione, esplosione, rottura. Una canzone controversa in "e certamente parleranno di sindrome depressiva, o più semplicemente diranno che è morto un altro matto..." In una società che ancora non accetta il suicidio come forma di disagio sociale, creare una canzone del genere ed accoppiarla a una musica spiazzante e nuova significa essere il canale attraverso cui emerge il suddetto disagio. Tolto questo appunto di condanna e protesta il finale del disco rimane forse l'apice tecnico di tutta l'opera, una somma jazzistica e progressiva in cui Lucio perde completamente la sua figura di narratore per fondersi con il contesto e suonare la voce, se non per poi chiudere con un disperato appello, una sorta di urlo in quel vuoto cosmico che è riuscito a raggiungere

SE NE ANDRÀ, MOLTO PRESTO.
QUALCHE FRUTTO DARÀ FORSE ANCORA, 
GENEROSA TALVOLTA COM'È LA NATURA 
MA SE AVESSI IL TEMPO PER AMARTI UN PO' DI PIÙ

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