sabato 27 agosto 2016

Akira / Ghost in The Shell - OST


Eh si perché credo proprio OST significhi "Original Soundtrack". Vabbé sono cose che ho imparato tipo oggi (o ieri - guardatevi la data di pubblicazione, futuri lettori). L'interesse e la curiosità per le colonne sonore nasce un po' prima, qualche mese fa, con la pubblicazione di uno speciale di Rumore sulle colonne sonore, appunto. Un libercolo (direbbe qualcuno) di incredibile contenuto, che sanciva definitivamente, nella mente del sottoscritto, il binomio "Colonna sonora = magari una bomba", scardinando la convinzione che la relegava solo a sottofondo (che poi dipende, alle volte è vero). Da amante della massima zen che dice Musica >>>>> Film, ho ovviamente preferito quei DISCHI il cui valore prescinde l'associazione con le immagini, pezzi d'arte in grado di vivere e resistere in autonomia, sia perché collage di nevrosi altrui (bon dai tipo "Gummo"), sia perché prodotti della psiche di un singolo. Le robe trattate qui, oggi, fanno parte della seconda categoria. 

AKIRA

Il film d'animazione probabilmente più visto ma meno conosciuto del globo. Il sottoscritto si autoascrive(va) alla categoria di quei superficiali spettatori - amanti estemporanei dell'animazione nipponica che solo citano l'esperienza filmografica e non cartacea, prima ovviamente di leggere e innamorarsi di quella bibbia creata (non riesco ancora a capacitarmi come) da KATSUHIRO OTOMO. Un passo indietro: non si biasima nessuno, ovviamente, le due cose (film e manga) sono decisamente divergenti nei contenuti e nelle intenzioni fino a diventare completamente separate nei risultati. Questo a significare che, nonostante il sottoscritto consigli (VIVAMENTE - QUASI OBBLIGO) la lettura integrale, se non altro per bearsi delle magnifiche tavole a pagina intera, la visione del film è di per sé un'esperienza trascendentale. 
A rendere il film quello che è (un capolavoro) ci pensa in maniera piuttosto convincente anche la colonna sonora. Oggetto di numerosissime revisioni (di fatto la notizia di una nuova edizione integrale, con brani inediti, uscita su "Consequences of Sound" tipo ieri, mi ha spinto a scrivere questi pezzi) noi si discorrerà in realtà di un'edizione a caso di cui dopo scriverò la Soundtrack per potersi orientare meglio, non si sa mai. Inoltre l'immagine qui sopra non credo sia corrispondente (è l'immagine di una delle numerose edizioni). 

"La mente dietro a tutto è quella di Geinoh Yamashirogumi". Allora. Questa è effettivamente la frase che avevo scritto pensando che Geinoh Yamashirogumi fosse REALMENTE una persona. Beh mi sbagliavo, e la faccia che ho fatto quando ho scoperto che era in realtà un COLLETTIVO di tantissime persone dedito alle arti beh, potete immaginarla facilmente. Un collettivo sì. Stando a ciò che dice wiki (e vabbè per stavolta) un gruppo di persone fondato nel 1974 e creatore di alcune piccole rivoluzioni nel mondo musicale giapponese: parliamo di connubi fra tradizione e sintesi, creazione di pattern midi per la gestione della musica tradizionale vocale (è una cosa realmente incredibile) e lo sdoganamento di alcune macchine "futuristiche" per la produzione musicale. Roba incredibile per vero. Il collettivo merita davvero un approfondimento (che faremo, decisamente) ma per the sake of quello che stiamo facendo ora, l'unica cosa che ci interessa è che appunto hanno creato la colonna sonora di Akira, datandola 1988. 

Le suggestioni che si ritrovano nel disco sono realmente il frutto di quanto detto su "Geinoh Yamashirogumi": la tradizione che si fonde con la modernità in brani realmente complessi e stratificati, mai banali, sempre pronti a impennarsi e calmarsi in maniera repentina. 
Le armi usate sono molteplici: strumenti acustici (tradizionalmente rock, tipo la batteria), synth ricercati, no roba da anni 80, drum machines, percussioni tradizionali giapponesi (suono da canna di bambù o similare), organi (reali? sintetizzati?), strumenti a corda, alcune chitarre (mi è parso di capire) e poi le voci. Le voci sono qualcosa di incredibile: passano da registri maschili bassi e carichi di patos a intrecci femminili leggiadri, litanie riverberate, frasi stentate e rabbiose, spoken. 

Grossolanamente potrei dividere la Soundtrack in due parti: una rapida, nell'ordine dei 3 minuti a canzone, fatta praticamente solo utilizzando macchine, synth e strumenti moderni. Solo le due "Winds over Neo-Tokyo" e "Doll's Polyphony" (che la dice lunga sul contenuto), rappresentano uno strappo a questa regola, essendo create un po' come riempitivo ambient - meditativo, senza percussioni, stracolme di vocalizzi e landscape di synth. Le altre appartenenti a questo blocco (nell'ordine "Kaneda", "Battle Against Clown", "Mutation" e "Exodus From the Underground Fortress") sono esattamente il frutto di un immaginario scifi ottantiano (ma ricercato) con colate di strumenti tradizionali, percussioni, legni e vocalizzi che, nonostante possa sembrare strano, fanno elevare esponenzialmente la qualità del contenuto. Qui ritorna davvero la mezcla fra sacro e profano, i pattern sono percussivi - ossessivi, colmi di ritmo e loop; pian piano si arricchiscono di soluzioni melodico - vocali, si scontrano con violenze sintetiche, recuperano l'armonizzazione, la riperdono. Esempi perfetti fra i brani citati sono necessariamente "Kaneda" e "Mutation" che rappresentano la summa di quanto detto. In particolare "Mutation" (che si associa a un episodio particolarmente intenso nella sequenza animata) è il brano più forte e riuscito di tutto il gruppo e incarna realmente la visione ibrida del collettivo. Spettacolare. 

Nonostante quanto detto sul blocco più "percussivo - sintetico", sono le canzoni rimanenti, tutte delle durata superiore ai 10 minuti, a rappresentare realmente il film (in particolare le sue parti più incisive e determinanti) ma anche (e forse sopratutto) l'animo rivoluzionario e la grande genialità del collettivo. 
Le canzoni incriminate sono ovviamente meno. Nell'ordine: "Tetsu", "Shohmyoh", "Illusion" e "Requiem". Qui succede l'inaspettato. Laddove lo scontro fra la modernità e la tradizione su terreni rapidi (in termini di bpm proprio) avevo portato dei frutti magnifici ma sperabili, è su sentieri (quasi) inesplorati della sperimentazione sintetico - ambient che "Geinoh Yamashirogumi" caccia un piccolo miracolo. Una canzone come "Tetsu" non può essere definita altrimenti: la sottile melodia quasi da xilofono, i tamburi scandendo lo strano ritmo e poi la cascata di voci ad interrompere tutto solo per un attimo, prima di inserirsi di diritto nella scena e scomparire qualche secondo dopo; il crescendo riproponendo la stessa sequenza, apice, colpo finale e silenzio. 
E poi "Shohmyoh": l'intro caotico, le voci alternandosi in discorsi, parole che si allontano e avvicinano all'ascoltatore. Poi il colpo di tamburo richiama l'ordine, comincia un crescendo mantrico di corrispondenze. Dietro tutto un synth riempie gli spazi. No davvero è magnifico. Fiati anche, sporadici. Il silenzio diventa qua strumento. Le armonizzazione del coro sono spettacolarmente fuse con i solisti. Riverberi. Uno strumento a corda, reso etereo dagli effetti, si inserisce in crescendo, pian piano rubando la scena ai vocalizzi, mai invasivo però, condivisione. Silenzio. E infine l'ultima parte, sempre il mantra ripetitivo, qui associato all'apocalisse di droni di chitarra, tamburi distanti. Il crescendo vocale corre parallelo all'intensità del gemello elettrico, dissonante, alle volte. Silenzio, otra vez.
"Illusion" ha la struttura d'improvvisazione acustico - vocale: un crescendo di voci, strumenti percussivi tradizionali e fiati acuti e dissonanti si intrecciano fino ad un apice. Ed è proprio lì, a 40 secondi dalla fine (canzone da 14 minuti) che avviene qualcosa di magnifico: una specie di post - produzione - registrazione condisce il tutto con un muro di synth distorto e phaserato per creare un mostro violento che spazza via ogni convinzione e ti induce a pensare 

ma scus

La conclusiva "Requiem" è speciale. Accosta le sfumature apocalittiche, quasi industrial, di percussioni e sintesi a vellutati vocalizzi corali, femminili o congiunti, creando il concetto perfetto di requiem moderno (giapponese magari). Non spendo altre parole sulla conclusione per due motivi: l'epifania nell'ascolto è decisiva e secondo magari sarebbe bello ascoltarla (adesso con consapevolezza) guardando il film o)))).

GHOST IN THE SHELL

Ghost in the shell rappresenta un po' un'anomalia nel panorama manga sci - fi nipponico. Il film è del 1995 ma anch'esso risulta tratto da un manga precedente (che non ha avuto un briciolo della sua fortuna nell'entrare nell'immaginario collettivo). Un'anomalia perché, mentre Akira è il paradigma dello sci - fi nipponico, con le sue armi di distruzione di massa, i suoi personaggi potentissimi, poteri oscuri, telecinesi (mancano solo i mecha) Ghost in The Shell è un viaggio oscuro nella visione etico - filosofica della tecnologia, il confine fra uomo e macchina, le domande esistenziali su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e secondo quali principi e limiti. Il manga offre lo spunto e il contesto ma è solo con lo specifico POV di Mamoru Oshii (il regista) che queste tematiche forti escono allo scoperto. 
La narrazione è crepuscolare, grande spazio è lasciato alle sequenze descrittive di una città opprimente, sempre cupa, sempre sull'orlo del collasso. Anche le scene di azione o le aperture più serene (anche di trama) contengono sempre un chiaroscuro, mai completamente felici o risolutive. 

Ed è in tutto questo brodo di negatività e quesiti che si inserisce una colonna sonora perfetta. Molte meno parole dobbiamo e possiamo spendere su questa rispetto a quanto fatto per Akira. Le motivazioni sono varie: innanzitutto è un continuum, non ci sono grandi blocchi e variazioni come nella precedente; inoltre le canzoni sono molto più corte e eteree, senza picchi o apici; infine si rende evidente, sopratutto a chi il film lo conosce, la necessità di un ascolto consapevole assieme alla visione del film, nonostante le suggestioni che la colonna sonora evoca assumano palesemente vita propria. 

Gli strumenti usati sono qua molto più artificiali rispetto a quanto fatto dal collettivo, nonostante un parallelismo con il connubio "sacro - profano" è evidente. Nella (quasi) iniziale "Ghosthack" per esempio, percussioni leggere si incrociano con rumori di strumento a corda, annichilito dalle distorsioni. Nella successiva "Puppetmaster" è un drone vocale ad intrecciarsi con riverberate percussioni, field recording e spettrali synth. Niente è lasciato effettivamente al caso: la musica rimanda alle immagini e viceversa, creando quella sensazione di ineluttabilità descritta prima. Asfissia. La dinamica c'è ma è nascosta benissimo in colate di riverbero e droni il cui aumento di spessore è l'unica cosa che indica un progredire della traccia. 
"Virtual Crime" non è da meno: corde pizzicate nel silenzio più totale che illuminano temporaneamente abissi e vaghi colpi dissonanti. Il finale è un'apertura arpeggiata.
"Nightstalker" spicca per l'utilizzo degli strumenti a corda giapponesi, accompagnati da un synth tutto in minore: il gap rispetto agli altri brani è evidente ma non aspettatevi felicità. Solo melanconia.
Una vaga sensazione di morte imminente accompagna la melodia di "Floating Museum" (e effettivamente guardatevi a cosa è associata nel film), immersa in un tappeto di synth nero pece. 
"Ghostdive" è una stanza vuota con campane e oscurità.

Nonostante sia vero che la divisione in blocchi (come accaduto con Akira) qui risulta essere più difficile in realtà un grossolano spartiacque può essere applicato, non fosse altro per la presenza della componente vocale. I tre "Chants" (nell'ordine "Making of Cyborg", "Ghost City" e "Reincarnation") sono di fatto il fulcro della colonna sonora (e perchè no anche del film a mio parere). La parte strettamente musicale non si discosta da quanto detto prima: percussioni opprimenti, tappeti sintetici sempre oscuri e sfuggenti. I vocalizzi si ripresentano nei tre passaggi praticamente invariati; è invece l'associazione e le soluzione ritmico - melodiche utilizzate che creano una sorta di progressione fra i tre brani. Mano a mano che ci avviciniamo alla conclusione si perde un po' di oscurità ("Making of Cyborg" è forse la canzone più devastante della colonna sonora) e, anche con l'aggiunta di archi (immagino sintetici) si riesce ad intravedere un minimo di luce nella conclusiva "Reincarnation". L'intermedia "Ghost City" è un passaggio melanconico e grigio, triste, associato, nel film, ad una splendida carrellata sulla città fantasma, teatro degli eventi. 

Conclusione: due film, due capolavori per meglio dire, la cui fortuna e riuscita si deve anche (o addirittura sopratutto) ad una colonna sonora visionaria e spettacolare, frutto di visioni d'avanguardia, sperimentazioni e lungimiranti connubi fra ciò che è tradizione e ciò che è (o era al tempo) tecnologia. Imprescindibile (adesso che avete letto le mie parole ahah) la visione consapevole dei film in questione e, magari, di tutti i film la cui colonna sonora meriti menzione e considerazione.

giovedì 14 luglio 2016

Za! - WANANANAI


Ancora e per sempre Spagna. La convinzione che sia il posto perfetto per la generazione di un certo tipo di sonorità sta piano piano diventando una certezza. Nonostante la palese somiglianza (omonimia) con Zu, poco hanno a che vedere gli uni con gli altri. Mentre nel buco nero italico di morte e disperazione si parla la lingua oscura del jazz - core filtrato da satana qua la chiave di lettura è il sole di Barcellona. Parole spese a cazzo su un disco fatto da due tipi completamente fuori da ogni contesto: ogni paragone con qualsiasi tipo di genere musicale - gruppo musicale, presente, passato (e futuro), diviene completamente inutile quando dopo 4 minuti di dub - psy salta fuori una caleidoscopio di feedback, tutto storto, pieno di tempi mai suonati dall'uomo, poi ricade nel dub e, infine, si perde in loop armonizzati di voci. Poi blip - blop, anche. 
Nel senso ragazzi c'è poco da fare, stiamo parlando di pesi massimi dell'improvvisazione costruttiva, libera ma con un occhio (dei vari) puntato al groove profondo. Prendete una canzone come "El calentito #3". Un brano strutturato sulla base dei due precedenti (come accadrà anche per il trittico "Hotto!!" "Hottero!!" "Hottesto!!") basato su un giro dispari su cui si inserisce una voce dritta, un po' in levare e un po' in battere, a seconda di come si srotola il ritmo. La sostanza del brano si amplifica fino a un apice, ricade nel silenzio ritmico, viene "abbellita" da una svisata vocale con tanto di urlo grattato da chiodi in gola. La risalita ritmica è lontana nella stereofonia, accompagnata da un basso così denso da sembrare un classicone da club londinese: si modula, si scurisce, si satura, si dissocia dalla melodia, si ricongiunge, altalenante. Alla fine rimane solo lui, per pochi secondi, solo un basso nero pece. E la canzone finisce. 

ATTENZIONE: è successa una cosa bellissima. Ho ascoltato e contemporaneamente scritto queste righe su "Calentito #3" assolutamente convinto fosse "Calentito #1". Questo assurdo malenteso ha generato una rottura spazio temporale nel giudizio: i tre "Calentito" sono talmente perfetti da risultare, al final, completamente indivisibili, nonostante ovviamente diversi nel contenuto. Un miracolo firmato Za!.

Giusto per terminare il discorso, "Calentito #1", vera colonna portante fra i tre, dà le basi melodico - ritmiche per le successive composizioni, ma mettendo sul tavolo degli elementi decisivi. Prima chiave di lettura è la spina dorsale ritmica, fatta sempre da un giro sbilenco nelle diramazioni più "free" ma ben saldo su 8avi riconoscibili quanto intricati. Battiti di mani (finalmente perfetti nell'azzeccare il tempo, non come il 99% degli abitanti della Spagna) condiscono un intro destinato a perdersi in pulsazioni dub. La melodia è arricchita da un tromba sciolta nel riverbero (tipo a 1000km di distanza nelle stanze stereofoniche) che segue a ruota (o è seguita?) da una stilettata di chitarra graffiante come se fosse Albini (o antani). Poi sono gli intrecci vocali a rapire gli ascoltatori: armonie fratturate dal tempo incostante e avvolte in progressioni quasi afro beat (chitarra + chitarra un po' di ottave sotto). Il finale è apoteosico, un susseguirsi di parole sempre più complete e sempre più incastrate nel pattern matematico. Esplosione, riff assassino + urli-di-quelli-che-fai-in-studio-registrando-quando-sei-preso-dalla-musica-che-tu-stesso-hai-registrato = DIOCANE.

A sto punto facciamo anche "Calentito #2": 

DUB + TROMBA = MADDAI

Ascoltatevelo (non su bandcamp che si sentono le pause fra le canzoni) in modo da avere una maggiore fluidità fra le strutture e capirete esattamente cosa significhi essere spettatori di un piccolo miracolo.

Ovviamente non c'è solo questo concentrato di figosità a determinare, per "Wanananai" lo status di BOMBA ATOMICA". 
Basta andare a caso: i due "intermezzi" "Chinloop" e "Singaloop" sono l'esempio perfetto delle cose che tutti i gruppi fanno cercando di essere fighi mentre fanno un disco ma in cui, ovviamente, nessuno riesce. Tranne gli Za!. Il concetto è semplice: prendi la coda di una canzone e la ripeti per un tot di secondi. Poi ci metti un nome figo. Fine. Hai fatto la genialata però chiaro, ripeto, devi essere un geniale duo spagnolo e chiamarti Za! altrimenti l'unica cosa che ottieni è sembrare (ed essere, te lo assicuro) un idiota. 

Poi vabbè, non servirebbe neanche dirlo: "Sùbeme el monitor" (lo so, l'accento andrebbe dall'altra parte). Una canzone con un significato che anche voi, italici lettori, potete facilmente intuire. Significato che merita il racconto di un aneddoto, letto chissà dove, forse un'intervista ai due Barcellone(n)si. Concerto, situazione abbastanza normale, si attaccano gli strumenti, si controllano i pedali, si fa il Check. Durante questo "rituale dell'assestamento volumetrico (jajaj)" salta fuori che il tizio alla chitarra urla

SUBEME EL MONITOR

La situazione però vuole che fosse attiva una loop station sulla voce. Quello che salta fuori (oltre alla canzone su disco) è, come potete facilmente immaginare, un'apocalisse di jam session DAL VIVO, SU UN PALCO, A CASO. Da qui il titolo della canzone e, non stento a crederlo, anche granparte del suo contenuto. Un gruppo che si permette di fare una cosa del genere, va da se, dovrebbe essere osannato a nuovo messia sulla terra per tutti i genere musicali. Le persone dovrebbero ascoltare questo disco per rendersi conto che le loro jazzate in 15/16 - core magari possono tenersele e, già che sono in mood depresso da cane bastonato, appendere qualasisi tipo di strumento fossero in grado di suonare dopo anni di faticosa carriera e ascolti pazzi, al chiodo. Ciao. E sì chiaro, io non facevo le svisate jazz.core in 15/16 però la mia visione della musica "laterale" è cambiata quando ho ascoltato gli Za! (come mi era capitato altre volte, in altri contesti, con altra musica). Non c'è niente di sforzato in un disco del genere (ma nemmeno in quello successivo, che sto ascoltando ora), niente di costruito a tavolino, niente di "programmato". Sono due testate nucleari che, per un motivo o per l'altro, si sono scontrate nella penisola iberica e hanno creato qualcosa di umanamente impensabile e, ovviamente, irripetibile. 
Se dovessi dare un voto sarebbe, ovviamente: 666/10. Consigliatissimi. Ma che dico, 

OBBLIGATORI

lunedì 4 luglio 2016

M.A.K.U. SoundSystem - Mezcla


Domandina spontanea: cosa ci fa una disco del genere qui? Un blog che nel 99% dei casi ha trattato musica del demonio, un posto in cui (da adesso in avanti) convivono il soundsystem latino e i Teitanblood non dovrebbe esistere. E invece sì.

Ci eravamo lasciati con una frase tanto inflazionata quanto (a mio parere) perfettamente vera: "il certo e innegabile potere esorcizzante della musica". Beh che ci crediate o meno (molto facile e intuitivo in realtà) la mia serenità e integrità interiori si accompagnano automaticamente ad ascolti più aperti, areati, meno oscuri e claustrofobici. Oserei dire luminosi ma non vorrei esagerare.

Questo è un disco davvero bellissimo. Il SoundSystem, come ci si aspetta da un nome del genere, è un combo gigantesco composto da (attualmente) 8 persone, distribuite, senza entrare troppo in dettagli, una voce femminile, varie maschili, basso e chitarra (forse /e), sicuramente due strumenti a fiato (sax sicuramente e tromba), batteria e percussioni più altri elementi vari. C'è anche del synth (ovvio come ho fatto a non pensarci).
La provenienza è palesemente latina e affine, si sente ovviamente dall'accento e dalle ritmiche contorte e percussive però non saprei dire esattamente, utilizzando solo questi elementi, la localizzazione precisa nella vastità del latino america (escludendo ovviamente brasile mexico argentina cile etc quindi effettivamente potrei tentare un golfo del messico o comunque alto continente). Nonostante questa provenienza palese, tutti i componenti fanno un po' i borghesi musicisti a new york (vabbè sai chissà che storie assurde hanno dietro).

Non mi ricordo neanche quante tracce sono contenute nel disco, ho provato a cercarlo nella mia libreria e, non trovandolo, c'ho rinunciato. Saranno una decisa dai, una più, una meno.

Il contenuto squisitamente musicale lo potete immaginare: ritmi convulsi haitiani, fiati in levare, la voce latina mezclata con quella inglese in liriche che, anche senza conoscerne il significato, hanno proprio il sapore del mare, della naturaleza, dei sorrisi.
Se andiamo a scavare nei significati sono colmi di quella fedeltà alla terra naive tipica dei gruppi latini: alberi corteccia acqua balli sole alba atardecer e altre amenità su quanto la vita sia un caleidoscopio di colori e incontri. Da questo punto di vista i M.A.K.U. poco si discostano da tanti altri gruppi parecidi. Le voci sono alternativamente maschile e femminile: profonda la prima, carica di immagini tropicali la seconda. Lo switch fra una e l'altra è fluido, le parti si distribuiscono equamente in un vortice anche, perchè no, di significati corrisposti; un dialogo insomma. 

Tutto nella norma quindi. Fino a qui "solamente" un disco carino senza punte di magnificenza tanto decantate dal sottoscritto nella prima parte della narrazione. Cosa rende quindi questo disco un capolavoro agli occhi di chi parla?
Un sacco di cose in realtà, imparzialmente suddivise fra

ASSOLUTA IGNORANZA SUL GENERE

(ma comunque gran voglia di imparare. a questo proposito vorrei fare un appunto su quanto mi sia innamorato di queste sonorità funk - afrobeat - tropicali, sopratutto in questo ultimo periodo di ritrovato equilibrio emotivo (giusto per tornare al potere esorcizzante della musica)) che ha determinato una profonda sorpresa nell'ascoltare della musica così coinvolgente

ma sopratutto un serie di elementi distintivi che cercherò di sviscerare in queste poche (moltissime) righe che rimangono. 
Prima di tutto l'incredibile capacità che possiedono i M.A.K.U. di generare felicità è buen rollo dentro le persone e fra le persone. Veramente, creano un alone di felicità e presa bene misto fra il reggie (che non mi va generalmente a genio) e l'irrefrenabile volontà di muovere il culo figlia del funk (e dei tropici dai). Una bolla di positività che ti accompagna ovunque tu sia, camminado con le cuffie, in città guidando la macchina, in pausa studio (questa è una bomba ==> 5 minuti di pausa = 5 minuti di musica, una roba super figa che ho appreso da poco). Fichissimo insomma, essere felice semplicemente facendo una cosa "banale" come ascoltare la musica.

Secondo
LA PSICHEDELIA

eh si, veramente. Psichedelia a bestia. Ma proprio tantissimo, ovunque. Prendete il giro di synth all'inizio di "Thank You", proprio per essere palesi e farvi capire ma, in realtà, tutto il disco è foderato di vibrazioni lisergiche, ovunque, persino nella voce (voci). Ed è una cosa strana, almeno per me. Sia chiaro, mi aspettavo qualcosa del genere da gruppi funk lisergiche afro, non da questi ballerini del demonio caraibico. Ovviamente non mi lamento, anzi. Con questo tipo di sensibilità psichedelica tutto il disco mi è sembrato familiare, come uscisse direttamente dai miei soliti ascolti. Un animo di questo tipo me li ha fatti involontariamente avvicinare a questo, uno dei miei video preferiti di sempre, pieno di chilling e sonorità latine miste a sana psichedelia (digitale immagino ma anche non troppo). I Bomba Estereo non sono in realtà quelli rappresentati nel video e, eccezion fatta per alcune perle che mi porto dentro, ormai non sono il gruppo che ho amato (credo esattamente un anno fa). 

Terzo
LA MALINCONIA

C'è come una vena amara in tutta la produzione di questo disco. Qualcosa che non riesco esattamente a definire. Qualcosa che corre sottotraccia, una significato quasi nascosto ma percepibile. Quel sentimento di malinconia che ho visto e percepito spesso nella musica, nella lettura, nelle parole, negli incontri di chi ha radici latine. Il sorriso di chi guarda l'orizzonte del mondo, di chi vive in un continente che potremmo definire la cosa più vicina al paradiso esistente eppure, dentro, vive la sofferenza, la negatività degli uomini, la cattiveria delle azioni. Parole del cazzo spese da mille persone prima di me mille volte meglio ma alla fine poco importa, potrei cercarne altre e sarebbe comunque banale e scontato. Fatto sta che la malinconia nel disco dei M.A.K.U. c'è eccome, palese nelle liriche emotive di "De Barrio" e "Happy Hour" oppure nascosta fra i fraseggi e lo splendore raggiante dei fiati. 

Chiudendo la "recensione" un po' a caso secondo me la bellezza è tutta lì: la fedeltà alla terra, riscattarsi, amore e amore, nostalgia ingestibile, profondità insondabile. ma anche felicità e bellezza, tutto mezclato così bene da apparire come un gigantesco quadro magnifico. 

domenica 5 giugno 2016

Nothing - Tired of Tomorrow


Anticipazione: è bello forte sto album. Ma bello bello. Ciao, son tornato. Non scrivevo da troppo tempo. Fra una cosa e l'altra ho tralasciato anche questi impegni/sfoghi musicali. Me ne dispiaccio ma è andata così, c'è poco da fare e da parlare ma tanto da scrivere per (tentare) di rimediare. 

Vabbè. Pronti via. Partiamo subito con un mea culpa di quelli duri: i nothing non li conoscevo ma tipo neanche per sbaglio. La verità è che questo tipo di shoegaze non è proprio mai stato il mio forte. 
Che non è neanche proprio verissimo: pietre miliari del genere sì, le conosco, un po' come le conoscono tutti. La capacità che ha avuto (che sta avendo in realtà visto che lo sto ascoltando ora) questo disco di canalizzare un certo tipo di necessità musicali, che possiedo in questo momento della mia vita, non ha pari rispetto ad altri lavori di altri gruppi, presenti e passati. Forse è merito di una produzione più "moderna" (?): se ascoltate il primo dei My Bloody, gli elementi costitutivi sono praticamente gli stessi ma con la differenza che questo "Tired of Tomorrow" ha dei suoni pesanti, compressi, taglienti, carichi di profondità. Le parti "dream" cariche di riverbero e delay sono realmente sfaccettate, insondabili, eteree. Mi piace perché provengo da regioni effettivamente pesanti della musica, nonostante questo, l'impronta indelebile che mi porto dentro non è così determinante nel plasmare il mio giudizio: suonano pesante ma non ho bisogno di attingere al mio "altro bagaglio" culturale per poterli decodificare. Ok ho fatto un po' un casino ma, en serio, piacciono tanto tanto.

Tutto sommato è un disco corto. Io attualmente possiedo la versione con due bonus tracks, non ho idea da dove provenga. Sono quindi 10 + 2 pezzi, in totale. 
Su rumore di maggio c'è una bella intervista al tipo dietro tutto questo, un articolo profondo, forse un po' inflazionato, roba che la gente si sente ripetere da un tot di tempo. Nonostante questo forse domande del genere devono essere fatte, spiegare l'insondabile, cercare di dare un nome e cognome alle cose, sapere cosa si cela dietro le parole e le creazioni, forse, magari solo in questo caso, è importante. Vabbè il fatto è che il tipo pare abbia accoltellato qualcuno, si sia fatto i suoi annetti di carcere per poi passare un'altra buona parte della sua esistenza travagliata, consumato dalla depressione. Ok. Se me lo avesse raccontato qualcun'altro, con altre parole, con un altro disco, con un'altra musica, magari con altre mie esperienze alle spalle, gli avrei semplicemente detto "amico, gestiscitela, cazzi tuoi, hai fatto l'errore, hai pagato, hai cacciato un bel disco, basta, non mi serve sapere i tuoi drammi, non mi serve gettarmi nei tuoi problemi, a capofitto, non ne ho bisogno, davvero, grazie comunque". 
Però stavolta è diverso. In realtà non ho la minima idea del perché, davvero, sono anche abbastanza spaventato da questa cosa. Nel senso, è che chiaro che un'intervista è una cagata, è tutto costruito per vendere e per farti scendere la lacrimuccia. La sua storia ovviamente è vera, lo sanno tutti, ma quante volte è capitata una cosa simile? Un sacco. Come il chitarrista degli Alice in Chain che, poverino, non rilasciava dichiarazioni (20 anni dopo) sulla morte del cantante, facendo il duro, il ritenuto. Ancora peggio, un'operazione di marketing del cazzo, tutta fuffa. Qua però è diverso, e ripeto, non so il perché. Forse un po' di empatia, un po' di comprensione. Anzi, un po' ho capito il perchè. Sisi ci sono, è

LA MUSICA

Lo si percepisce bene, adesso è molto più chiaro. Un messaggio potente come quello veicolato da un disco del genere non può che essere autentico. Una persona con questo vissuto, anche se rilascia 100 interviste nel giro di una settimana, anche se sono tutte uguali, anche se nel 99.9% dei casi tutto il mondo sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco difendendo l'idea del montaggio, dell'operazione di marketing, QUI, con queste musica, non può che essere autentico. 
"Tired of Tomorrow" è uno specchio deformato. Non è il solito specchio deformato però. Mi spiego: la maggiorparte delle volte il musicista crea appositamente uno specchio deformato con l'intento di riflettere una determinata realtà (fra le molteplici). Nel caso di un disco doom, l'angolazione sarà cupa, triste, disperata. Nel caso di un disco pregno di psichedelia l'angolatura sarà lisergica, quasi spensierata. E così via. 
In questo caso, nel caso specifico di Tied of Tomorrow il processo avviene al reves ed è proprio questo che riesce a dare credibilità alla musica, al musicista e al disco intero. Avviene al reves perchè  è la musica a plasmare lo specchio, non il musicista. Non c'è intenzionalità, il meccanismo non è prederteminato ma autodeterminato. Si sente palesemente che il flusso di idee, di contenuti, non è incanalato ma spontaneo; è l'insieme a plasmare lo specchio e a dare un riflesso distorto di se stesso, come un loop infinito di rimandi, un vortice, una vertigine.
Ecco, se dovessi definitivamente descrivere questo disco utilizzando una sola parola, quella omnicomprensiva, beh non avrei nessun dubbio

VERTIGINE

lo sto riascoltando proprio ADESSO (ci sono più tipi di adesso ovviamente. quello di cui stiamo parlando è una adesso che va da la precedente parola in grassetto - centrata a credo la fine del pezzo. "Credo" perchè in questo adesso non ho ancora ben capito se lo terminerò) e sono arrivato quasi alla fine di "The Dead are Dumb" che parte con quel giro scarno quasi un po' folk, le robe fatte con una baritona, un vibrato e uno slide, un giro di accordi del cazzo e poi esplode in mille frammenti, uno shimmer etereo che aleggia sul brano, si condensa in punti di estreme di acuti, come quando ascolti i godspeed e devi stringere i denti per non esplodere. Questa per me è perfezione, quando tutto gira al contrario per l'intensità del brano, quando la sola cosa a cui puoi pensare è il fatto che il mondo si è fermato in quell'istante, tu hai vibrato assieme alla canzone e tutto è stato perfetto per un attimo. Ecco a quello a cui mi riferivo, una sorta di catarsi musicale, perfetta e immacolata. 
La ritrovi ancora meglio in "Vertigo Flower" (ma guarda un po'): il suo stacco quasi slowcore, la violenza dei colpi e poi tutto che si perde in un solo grezzo, dove le vibrazione sono così dense e compresse che si stuprano a vicenda CAZZO dio.
E poi ancora ACD, la devastata certezza dell'unitilità di un'azione ma la perseveranza nel farla comunque, nel farsi comunque del male. E ne farlo ad altri.

Poi cazzo dio quel suono. Quel muro di suono gigantesco. Tutto compresso in un pugno di satana, carico di distorsioni tagliante come un rasoio, killer, omicida. Cazzo che bomba. I fuzz, i soli, la voce che si mischia al resto come una litania del fallimento. La redenzione, il tentativo (fallimentare). Un pizzico di speranza mal riposta ma comunque presente, comunque determinante. Tutto il resto che ruota attorno.

Se c'è una cosa che questo disco mi ha insegnato, che i Nothing mi hanno insegnato, magari con un pelo di ritardo rispetto al momento in cui più mi sarebbe servito, è l'assoluta fedeltà e abnegazione al potere esorcizzante della musica. Un sacco di parole del cazzo si sono spese, si spendono e, ne sono assolutamente certo, si spenderanno a un cazzo di proposito per argomentare questa affermazione. Non questa volta però. Io ci credo.

mercoledì 6 gennaio 2016

Surgical Beat Bros v/s Bologna violenta - SBB V-S BV


Prima di reperire informazioni adeguate sul titolo della collaborazione (bastava andare a vedere il nome della cartella scaricata) pensavo fosse un "st". In realtà il titolo è acronimo dei nomi dei protagonisti quindi ben poco cambia. 

Un disco complesso, tanto rapido quanto stracolmo di materiale, è quello che ci apprestiamo a conoscere, ben consci della caratura dei personaggi in esso contenuti, roba da eccellenza in ambiti (quasi) diversi del sottosuolo italiano. 
In un'altra epoca di questo spazio, un disco del genere sarebbe stato lo spunto di riflessione perfetto per un approfondimento capillare sulla storia e sulle collaborazioni delle due realtà musicali qui presenti. I tempi sono diversi però e le scelte che ho fatto mi autolimitano sul piano delle digressioni e delle collateralità. Parafrasato: meglio parlare al massimo possibile di una cosa sola, senza perdersi in mille tangenti (cosa che ho fatto per moltissimo tempo in questa sede). 
Nonostante questo, pare fondamentale spendere due parole su il "chi"di questo frammento musicale.

BV

Ne abbiamo in realtà già parlato in un allucinato resoconto live di un sacco di tempo fa. Un articolo vecchio ma che continua a esercitare fascino sul sottoscritto per l'attualità delle parole lì spese. Circa due mesi fa, a distanza di un anno e mezzo dalla prima volta, ho rivisto Nicola Manzan dal vivo, questa volta non solo ma con l'ausilio di un batterista fotonico. L'esperienza è stata sovrapponibile alla prima e, di conseguenza, allucinante. 
Tutti dovrebbero sapere l'operato del genio della frammentazione e quindi ben poco voglio dire in questa sede. Ascoltatevi pure tutta la discografia, le collaborazioni e anche le pubblicazioni che produce sotto il nome di Dischi Bervisti ma non dimenticatevi che, nonostante la prolifica attività in studio, il vero mondo di Manzan è il palco (= andatevelo a vedere dal vivo DL).

SBB

I Surgical Beat Bros sono uno dei grandi esempi di collaborazione virtuosa, nel panorama musicale italiano. La loro nascita è = a prendere due delle menti più geniali e tecnicamente ineccepibili di due dei gruppi più geniali e tecnicamente ineccepibili e metterle insieme a fare delle cose geniali e tecnicamente ineccepibili. Le fonti sono: Germanotta Youth (leggetevi cosa dice Pupillo su di loro in una recente intervista a Rock.it) e Neo - Mombu (non serve dire altro). Nel secondo caso, quello specifico di Antonio Zitarelli, la Fonte è a sua volta un supergruppo (SUPER GRUPPO) in cui milita anche Mai, sassofonista degli Zu. Quello che fanno questi due personalità impossibili messe assieme è facilmente immaginabile. Se NON fosse così facilmente immaginabile le ipotesi potrebbero essere due: la prima è 

CAZZI VOSTRI

la seconda, e qui mi dispiace dirvelo ma non conoscere i SBB è una grave mancanza al limite dell'ingiustificabile, è andare senza indugio tutti qui e beccarsi un'altra seminale collaborazione, uscita relativamente da poco e che comprende un altro gruppo a me particolarmente caro. 

SBB V-S BV

Ok. Devo ammettere che fare il punto della situazione così forzatamente sintetico mi mette un po' a disagio. Mi piace effettivamente approfondire i mille rimandi che ci sono nella musica italiana ma, come detto anche prima, mi rendo perfettamente conto che la sintesi aiuta la specificità dell'informazione. 

Il disco è composto da 4 brani, delle durata media di 3 minuti circa (il più lungo si assesta su 4 y medio). Ognuno dei brani è intitolato sulla base di un acronimo il cui significato non ci è però dato sapere. Citare i titoli mi sembra un po' sterile come cosa, sopratutto per il fatto che, avendoli ascoltati aleatoriamente per diversi giorni, ho assimilato molto bene tutti i messaggi senza le limitazioni che uno schema logico di "album" impone (ed è una cosa che quasi sempre, ma in questo caso maggiormente, consiglio).
Convulsività immediatezza, urgenza, parole a caso. Qua sono sicuramente tutte ben spese. Come ci si può immaginare da un'accoppiata del genere il disco è super rapido ma assolutamente (ed è qui che vince ovviamente tutto) CARICHISSIMO DI GROOOOOOVE. No ma veramente eh. Che ok, chiaro, te lo aspetti, ma non a questi livelli. Provare per credere! Ci sono passaggi che davvero ti metti le mani nei capelli a tempo da quanto sono super.
Per esempio una roba tipo ZBB, che dovrebbe essere la prima traccia (scusate prima ho detto che non avrei citato titoli ma mi viene davvero da farlo, inculatevi) è tipo la cosa più assurdamente devastante mai ascoltata. Poi vedi Zitarelli su facebook che ti manda quei messaggi video IMPOSSIBILI  e capisci che forse il genio c'è e si vede. C'è da ammettere (ma forse è un po' amore) che lui fa un sacco di lavoro: la parte ritmica è davvero spettacolare, convulsiva (come detto prima) ma mai incomprensibile, sempre pulitissima, super stoppata, super super.
La componente elettronica - ritmica del gemello chirurgico, per quanto mi riguarda (ma poi sta a ognuno cazzo volete), è presente ma non eccessiva. La si percepisce ma non è sicuramente la prima cosa che dici "cazzo che bomba". Un classico disco, questo, in cui le parti sono amalgamate in modo tale da lasciare un pilastro fondamentale poco visibile, presente, indispensabile, certo ma in ombra (CAMBIA TUTTO: l'ultima traccia RBB altro che se si sente quel cazzo di synth).
BV. Vabbè basta scorrere un po' questo scarno e inutile blog per capire la mia estrema passione per BV. Cioè boh a me piace proprio tanto tanto. Mi piace tutto quello che ha fatto, tutti i dischi, tutti i live che ho visto, tutte le collaborazioni. Veramente credo sia uno degli artisti più completi, profondi e poliedrici del panorama italiano (senza contare l'etichetta che gestisce, in cui militano robette tipo gli stormo) però

PORCO DIO IL VIDEO DELLO STATO SOCIALE NO 
IL VIDEO DELLO STATO SOCIALE NO DIO DI DIO CANE

E chiudiamo qui la parentesi perchè non è giusto nei confronti del disco di cui stiamo parlando. Però dovevo farlo. Dovevo sfogarmi. 
Tornando a noi però l'apporto che BV da al disco è sontuoso. Si mi piace questa parola, sontuoso. Basta sentire le armonizzazione di violino, i crescendo, la dinamica. Poi c'è la parte aggressiva - noise - malessere - chitarra che è una parte fondamentale del suo suono in ogni caso. Molto bene quindi. 
Ultimo appunto: per completezza citiamo quella bomba di campionamento che credo provenga da "Amore Tossico", ma non ne sono sicuro, distrugge tutto nel tempo e nello spazio. Davvero una bomba. FINE.