domenica 22 ottobre 2023

ancora


ancora ricollocamento funzionale. questo sarà un post estremamente critico e risentito. partiamo da una traccia per arrivare ad una serie di concetti. 

in questa traccia c'è un'esteso uso del riverbero, o meglio, del gated reverbero, un effetto che viene attivato da un segnale ad una certa intensità, superando quindi il "cancello" del nome. non è il gated riverbero di peter gabriel di cui behringer parla nel manuale del "virtualizer pro" (unità rack dalla quale questo riverbero proviene) ma è un riverbero ibrido, situato e de-situato nel confine fra sua natura ed "altro". il perché di questo situarsi e de-situarsi è facilmente intuibile ai lettori di questo ormai vecchio blog: l'effetto non è usato in modo ortodosso ma viene ricollocato, sradicato dalla sua posizione economico-musicale e reimpiantato in un terreno nuovo, in particolare in una fitta ecologia di feedback. 

la mia pratica artistica è sempre stata un saliscendi di quesiti sull'uso o meno di determinate tecnologie musicali. recentemente mi sono trovato a dovermi confrontare con effetti "storici" nella musica elettronica, anche di ricerca e anche più periferica, come il delay e il riverbero eeeeeeeee.. stop..

e ripresa. ok tutto vero. mi sono confrontato con diverse tipologie di effetti, sia storici che meno storici. delay, riverberi, tremoli, auto-pan, filtri ecc... ma nel contempo mi sono anche domandando che cosa rende una cosa, per me, estetica. per trovare una risposta meno scontata di "perché di sì" ho provato in vari modi:
- sicuramente NON leggendo della theory e forse questo è stato un errore; 
- chiedendo ai miei pari affini; 
- chiedendo ai miei pari non affini; 
questo operazione ha prodotto moltissimi risultati diversi fra loro. 
Ciascuna intende la propria estetica artistica in maniera molto diversa. E questo intendere può condurre a risultati veramente distanti fra loro. C'è che affida tutto a una non ben specificata "esperienza" intendendo che la sua estetica presente sia il risultato degli ascolti e riferimenti collezionati nel corso di una vita (forse presupponendo che solo dopo una vita intera di collezione si comincia a capire qualcosa? ma rigetto con forza questa idea ovviamente). 
altre si concentrano sull'intermedialità: "la mia estetica deriva da ascolti, letture, visioni, non necessariamente musicali che poi convergono all'interno di un quadro estetico più complesso". OK chiaro però rimane il problema di con che criteri scegli gli altri riferimenti intermediali. non mi soddisfa sapere che per fare un brano pensi a un quadro o viceversa, io voglio sapere perché scegli quel quadro, o perché quando componi pensi ai buchi neri o al porco dio. 
tutto questo per dire che la risposta ancora non è arrivata.
anche leggendo della parziale e breve theory le domande rimangono abbastanza invariate. l'estetica viene (ovviamente) intesa come qualcosa di formale e quindi si analizza, per esempio, l'improvvisazione, usando dei criteri filosofici quasi metodici, focalizzandosi su, da un lato, la contrapposizione alla forma delle composizione tradizione non improvvisata, da un altro i ben noti concetti di composizione istantanea, azione-reazione, imprevedibilità ecc... rileggendoli sotto una luce formale e, appunto, estetica. 
senza contare il fatto che si parla prevalentemente di improvvisazione jaaaaz e non di improvvisazione radicale di altra natura. 
c'è il tema dell'errore e dell'apertura umile all'imprevedibilità, entrambi concetti riletti in chiave estetica. tutte cose fondamentali ma non nucleiche. il problema però è che giriamo sempre attorno a qualcosa senza riuscire ad arrivarci completamente. o ci appelliamo ad un estetica divina o immutabilmente kantiana, oppure cerchiamo risposte in qualche stronzata psicoacustica o psicologica. ma piuttosto che dare credito alla psicologia sperimentale preferisco dare credito ai grandi antichi. il fatto che una melodia stimoli in me ricordi o sensazioni e che queste sensazioni e ricordi derivino da una particolare attivazione cerebrale a me, che cazzo me ne frega. cioè sinceramente, che cazzo me ne frega. cosa mi aggiunge, cosa mi dovrebbe far dedurre, in che modo dovrebbe arricchirmi se non scartavetrandomi i testicoli con cagate meccaniciste. ok uao incredibile è solo un insieme di neuroni che si scambiano dei simpatici messaggi elettrici incredibile such cool such uao. ma non hai comunque risposto alla domanda, hai solo trovato un sofisticato meccanismo (che nemmeno capisci fino in fondo). hai trovato una funzione, hai scoperto come accadono le cose materialmente ma non riesci nemmeno a dare una forma all'oggetto, alla cosa metafisica che stai osservando. è solo un insieme di lucine che si accendo e spengono ma non sai nemmeno come chiamare quello che osservi. capiamoci, e capiamoci molto bene: questa roba non è una scienza, non è misurabile, non è quantitativa. toglietevi dalla testa di poter studiare con un metodo "scientifico" questi fenomeni. già sento qualche mentecatto psicologo dire "eh ma il cervello si accende una frazione di secondo prima che tu riesca a verbalizzare l'azione che fai quindi in realtà non c'è libero arbitrio", dio cane ste robe mi fanno strippare. grazie dio della psicologia moderna per avermi concesso questo frammento della tua immensa conoscenza chissà come avrei fatto senza, una vita senza significato sicuramente, grazie a questa preziosissima informazione potremo finalmente costruire una nuova società più libera e uguale, privata dall'arbitrio e quindi dal male. ma guarda un po', cosa vedo, dell'arbitrio NONOSTANTE la preziosa informazione che ci hai donato, chissà come mai. ma vabbè lasciamo perdere la società e il mondo reale, soffermiamoci sulla performance e improvvisazione. appena sento uno di questi sedicenti premi nobel affermare che l'epifania del frammento presente è illusoria perché tanto è tutto privo di arbitrio mi faccio esplodere. e la chiudiamo qui. l'ontologia e la percezione sensoriale sono cose sfuggenti e, personalmente, la pretesa di poterli spiegare semplicemente sezionando metaforicamente le funzioni del cervello mi sembra proprio:
- una stronzata
- una pomposa supponenza umana
- un modo per riempire il vertiginoso vuoto di senso che si percepisce oltre i frastagliati margini della realtà, un vuoto abitato da creature non euclidee vermiformi fatte di assenza. perché ricordatevelo bene, ogni epistemologia è valida esattamente come le altre, soprattutto quando si cerca di costruire un'ontologia dell'improvvisazione.

c'è però un'evoluzione di questo discorso, diciamo una doppia evoluzione, un doppio svolgimento. la prima parte riguarda il fatto che, recentemente, ho assistito ad una perfomance. una perfomance che non mi è piaciuta e nella quale ho ben identificato gli elementi estetici che non vorrei abitassero ciò che faccio artisticamente. oltre ad identificarli, questo ragionamento per difetto ha poi automaticamente permesso di delineare i contorni degli elementi che invece sì, mi interessano. invece di tracciare una linea anneriamo lo spazio vuoto attorno. è anche questa un'ontologia come sappiamo. 
l'altro binario riguarda una conversazione interessante con un persona che stimo artisticamente e che mi ha permesso di riflettere su alcune dinamiche estetiche-contenutistiche che avevo intravisto solo in un ambito molto diverso. 

la perfomance di cui parlo si è svolta in un contesto informale molto bello e molto carico di potenzialità. purtroppo per tutta una serie di motivi, che potremmo anche analizzare in un post successivo o accennare in questo, questo genere di situazioni vengono come parassitate da comportamenti stereotipati che molto hanno a che vedere con la gerarchia dell'età (in un caso) e dell'esperienza (nell'altro). queste due mura impediscono la trasparenza dell'atto artistico spontaneo che, manca questa premessa in effetti, si ha la pretesa di voler proporre. in sintesi: sulla carta una performance per strumenti acustici ed elettronica, destrutturata e ampiamente basata sull'improvvisazione, preceduta da una sontuosa e autoreferenziale spiegazione di come le musiciste siano arrivate all'illuminazione di questo e di quello. già questa sontuosa e autoreferenziale premessa produce in me dei sentimenti molto discordanti, fra il voler andarsene il desiderio di assistere ad ogni modo. la comunicazione è un contenuto (possibile) dell'atto artistico. non è necessario spiegare qualcosa a parole a meno che io non te lo chieda direttamente. su questo punto entreremo più nel dettaglio in seguito ma per adesso è sufficiente sapere che, ovviamente stiamo sempre parlando della mia sensibilità personale, atti artistici come questi non necessitano di una spiegazione a priori perché contengono già in sé tutti gli elementi per il proprio stesso svolgimento e per una, volendo ascoltare, attenta autoesplicazione. forzare a parole un qualcosa che parole non richiede significa aggiungere un livello semantico non richiesto, significa incasinare tutto. e si incasina tutto proprio perché l'eventuale spiegazione deve essere atto condiviso fra tu che suoni ed io che ascolto, la responsabilità dello svolgimento di qualcosa di aperto (opera aperta si intende) è condivisa e avviene da un lato durante lo svolgimento stesso, da un lato dopo la performance ma sicuramente non prima. spiegarmi qualcosa prima che sia successo è come minino interpretabile come spocchia. ed è proprio spocchia la parola che mi viene in mente quando penso a quanto ho assistito. 

se qualcosa non vi è chiaro fate domande, non fate discorsi. lo dicevano gli uochi toki un miliardo di mila anni fa. 
quindi gli elementi estetici che per "difetto" sono emersi e verso i quali propendo, sono contenuti nel dominio del movimento più che del suono. sono elementi estetici gestuali. sono "agire" sullo strumento, collegare l'azione al suono. viceversa la pura stasi dell'ecosistema, la passiva percezione dell'evoluzione di un qualcosa oltre il nostro controllo, non la reputo più valida come la reputavo alcuni anni fa. mi piace l'incarnarsi del momento all'interno del corpo, la materializzazione dell'atto-movimento-suono. l'urgenza espressiva che spesso sfocia nell'estensione dello strumento oltre i propri limiti, la resignificazione, il ricollocamento funzionale appaiono qui come necessità ontologiche, necessità vitali per l'atto artistico: se il momento presente mi spinge oltre i limiti di quello che sto facendo significa che è lì che devo andare; negare questa necessità significa negare l'esistenza stessa dell'urgenza e quindi del momento artistico, del contenuto di ciò che sto facendo. torno al discorso precedente: non può essere comunicazione in questo, non puoi spiegarmelo con parole umane comprensibili e sicuramente non puoi farlo a priori. se spieghi questo a priori significa che ti stai costruendo i limiti insuperabili del sistema di riferimento, stai truccando la partita, stai limitando le mosse. 

ma in realtà è ancora più affascinante considerare il punto di vista esterno, un'estetica al di fuori che possa osservare e raccogliere suggestioni da poi condividere. la distanza che mi separa dalla "stasi passiva dell'ecosistema" per qualcuno potrebbe invece essere facilmente colmata anzi, potrebbe per me rappresentare un certo valore estetico. quindi dove sta la ragione? dove sta la verità? probabilmente da nessuna parte. 
lo stesso vale per la mia ritrosia nel considerare la melodia, il riverbero, i bordoni e tutte gli altri orpelli che classicamente attribuisco a un contesto "jam session". recentemente questa mia consapevolezza è stata messa in crisi e, con estrema difficoltà, è nato piuttosto un desiderio di analogia più che di conflitto. il conflitto può scaturire nell'urgenza e nella dinamica espressiva ma spesso l'unica cosa che determina è una serie infinita di soliloqui e incomunicabilità. certamente per qualcuna, la capacità di sapersi reinventare e adattare al contesto è una caratteristica inalienabili e sostanziale di qualunque contesto free impro. ma se fosse il contrario? se fosse in realtà un lavoro personale di adattamento e malleabilità nei confronti di estetiche e praxis lontane da noi, lontane dalla nostra sensibilità? anche qui la verità forse non sta da nessuna parte. però è interessante approcciare il conflitto da questo lato. dal lato dell'accettazione piuttosto che dell'antagonismo a tutti i costi. forse lassismo? dopo l'accettazione può venire la modifica, può succedere lo sviluppo. e soprattutto è anche una questione di aspettative e frustrazione delle stesse, di asticelle e di canoni. ciò che per me è imprescindibile per un'altra può essere irrilevante e viceversa. il terreno di gioco serve proprio a questo, a delimitare degli spazi, a intersecare aree comuni e, allo stesso tempo, a rompere quegli stessi spazi, tracciare nuove linee di gioco e superarle ancora. non è detto però che tutte giochino con le stesse regole. serve forse una traduzione, o una mediazione? il processo estetico sarà quindi quello e non il raggiungimento di un ideale precedente e magari anche un po' stereotipato. e non parlo di gerarchia, condividere una mediazione magari rinunciando a qualcosa di nostro non significa cedere e costruire qualcosa di minore qualità. anzi, forse significa acquistare un nuovo grado di consapevolezza di "stare assieme". 
e il saliscendi di opinioni su questo tema mi fa forse sembrare un po' un rimasto ma al momento la sensibilità che mi caratterizza si spinge più verso la mediazione che verso il contrasto. magari domani sarà diverso, magari fra un anno sarà tutto annullato e tutto nuovo. 




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