giovedì 28 marzo 2019

18.03.2019 - FDBCK


La stesura del corposo post a cui sto lavorando si rileva molto più lunga del previsto: come per Tricoli parliamo di una trentina di dischi, da suddividere per gruppi o collaborazioni. Un ginepraio giornalistico insomma. Mi piace la parola ginepraio, rende molto bene il concetto. 
Detto questo ci tenevo a condividere qualche pensiero su alcuni temi, magari in maniera più contenuta, in modo da mantenere una certa continuità e frequenza di scrittura. Anche un modo per aggiornavi su alcune questioni personali. 
Ma partiamo con ordine: alcune settimane fa si concretizza l'idea di fondare un gruppo di lavoro con alcuni amici/conoscenti della stessa realtà territoriale. L'obiettivo è quello di animare alcuni luoghi montani con attività culturali, di prossimità e turistiche. All'interno del gruppo già alcuni hanno avuto esperienze dando vita ad un progetto di residenze artistiche durante quest'anno e il precedente. Il mio ruolo, assieme ad altre persone a me vicine, sarebbe quello sicuramente logistico (come tutti più o meno), ma sopratutto quello di dirigere un po' la parte artistico/musicale, scegliendo gli artisti per le residenze, pensando contenuti per laboratori e gruppi di studio/lavoro ecc... 
Questa cosa mi ha sicuramente esaltato perché nel corso della mia vita da ascoltatore/musicista mi sono imbattuto in tantissime realtà e progetti che possono essere incluse all'interno di questa progettualità. Basti pensare allo stesso Tricoli, perfetto in un contesto residenziale considerando anche la parte "concettuale/contenutistica" che potrebbe essere oggetto di discussione post-concerto. E tantissimi altri naturalmente. 

Contemporaneamente ho riesumato alcuni progetti elettroacustici tenuti nel cassetto da qualche mese. Durante le mie esplorazioni con il disegno improvvisato, avevo provato a creare alcuni circuiti di feedback fra la superficie del disegno stesso e alcuni microfoni ma poi la cosa era morta lì, anche per il fatto che uno degli speaker, usati come emettitore, si era dissaldato. Pochissimi giorni fa ho sistemato i contatti, ho confezionato due saldi speaker da usare come trasduttori e rifatto la connessione jack ad un vecchio microfono piezoelettrico dimenticato in fondo ad una scatola. In sala prove ho quindi sperimentato con il feedback controllato (altra differenza rispetto alla volta precedente), limitando e comprimendo il segnale con Ableton. Il risultato mi ha fatto esplodere il cervello, perché sono apparsi tantissimi dettagli di cui non avrei mai immaginato l'esistenza. Un piccolo capello o una ciglia, incastrata fra la superficie del piezo e lo scotch che lo riveste, se strofinata sulle superfici, esalta dettagli alieni. Ho anche esplorato le potenzialità del giradischi come strumento esoterico ma, avendo paura di rovinarlo, preferisco concentrarmi su altro.
Durante questa sessione di feedback selvaggio e dettagliato, ho registrato praticamente due ore ininterrotte di materiale. Ovviamente è una mole spropositata che dovrà essere esplorata, tagliata, valutata ecc...
Oggi, 19.03, ho provato un approccio più radicale, sempre utilizzando feedback e proprietà vibratorie dei materiali ma devastando poi tutto con una distorsione assassina. Perché fare tutto questo?
- Primo perché è tremendamente divertente, la distorsione, unita alla compressione selvaggio di Ableton, esalta moltissimo i dettagli di cui parlavo prima, generando del suoni potentissimi con uno sforzo minimo. E su questo mi fermo un attimo a riflettere: la spesa per fare quello che ho fatto oggi così come i giorni precedenti è stata, per me, nell'ordine dei 40/50 euro tenendo conto che le compressioni di Ableton si trovano anche nella versione gratis. Chiaramente se uno vuole esplorare le miriadi di possibilità del software (unendoci anche Max, per esempio) avrà allora bisogno di sborsare decisamente di più.
- Secondo perché, come le immagini in testa-coda a questo post ci fanno intuire, fra poc(hissim)o faremo un altro festino esoterico. All'inizio io e il mio compagno di avventure ci eravamo indirizzati verso un approccio minimale e più "elettroacustico" ma poi, complice anche un'urgenza di NOISE ANTIFA, abbiamo deciso che spaccheremo la faccia a tutti. Ho visto pochissimo concerti harsh/power nella mia vita e mettermi dall'altra parte potrebbe essere carino. Magari viene fuori un pogo devastante. La formazione sarà batteria + elettronica. Non ho foto in questo momento ma vi faccio un elenco sintetico di quello che userò:
---- Microfono Piezoelettrico: facilissimo da fare, devastante nei risultati. Collegato direttamente alla scheda audio.
---- Scatoletta di metallo con molla: inizialmente pensata per dei puri suoni riverberati si è da oggi trasformata in una macchina di morte. Un capo della molla si è staccato dalla sua sede lasciando uno spuntone di metallo che gratta direttamente sulla superficie metallica. Potete immaginare l'effetto. Anche questo strumento di morte viene collegato direttamente al
---- Computer con Ableton: la scheda audio a due entrate preleva il suono dai vari apparecchi periferici. All'interno del software, un canale per strumento, il suono viene compresso in maniera aggressiva e leggermente pannato, in modo da avere una bella immagine stereo dinamica.
---- Mixer: un mixer della Beheringer di infima qualità che mi serve per amplificare e distorcere all'inverosimile il segnale audio in uscita da Ableton (e quindi dalla scheda audio). L'uscita cuffie, stereo, viene usata come output principale da mandare all'impianto per diffusione e ascolto. Con questo metodo posso facilmente abbassare l'ULTRADISTORSIONE ad un livello tale da non fondere qualunque cosa. Le due uscite principali, invece, sono usate per amplificare due Speaker da un paio di pollici (non li ho misurati sinceramente). Gli speaker andrebbero teoricamente amplificati con un amplificatore dedicato (tipo hifi) ma in questo caso il volume interno al mixer è talmente alto che è facilmente in grado di farli vibrare in maniera dignitosa.
---- Uno dei due piatti del charleston: è assolutamente irrilevante quale dei due. Fra i vari materiali che ho usato come oggetto di studio devo ammettere che il metallo dei piatti è quello più soddisfacente. Fatto apposta per vibrare, crea facilmente battimenti e onde complesse, sopratutto se tocca altre superficie e si relaziona in modo non lineare con il piezo. Poi quando viene ULTRADISTORTO produce un suono inumano.
Quale potrebbe essere il workflow? Premetto che non ne ho idea e che ora scriverò qualcosa che si rivelerà stravolto la sera del concerto, però non si sa mai. Una superficie piatta, che sarà il suolo, fungerà da palco. Due musicisti l'uno di fronte all'altro mentre il pubblico a lato, guardandoli. Il piatto, concavo verso l'alto, è appoggiato direttamente sopra uno dei due speaker. Toccando il piatto con il piezo, o appoggiando semplicemente la scatola con la molla sopra il piatto, parte automaticamente il feedback. Poi è tutto un gioco di equalizzazione, di interruzione manuale della vibrazione, di spostamento degli attori, di relazione fra di loro. Insomma molto dipende dal tono della performance: se il batterista decide un approccio più ritmico, anche io dovrò adeguarmi, modificando in modo più manuale il circuito di feedback. Nei momenti più meditativi si giocherà sull'equalizzazione e sulla posizione degli oggetti.
L'ULTRADISTORSIONE è apparsa, come detto, solo successivamente quindi al momento ho solo l'approccio più minimale/elettroacustico da farvi ascoltare. Comunque lo trovo piacevole.
Alla festa si aggiungono anche degli speaker di dimensione maggiore. Trovo tutto piacevolmente incontrollato ma comincio a temere per l'incolumità dell'impianto. Molto probabilmente però sarò ubriaco quindi il problema è relativo.



Per spezzare un attimo la narrativa voglio condividere i primi esperimenti di un progetto che ho deciso di chiamare "Animali Morti". Sarebbe anche carino interrogarsi sull'aggiunta di un parallelismo musicale. Magari la sonorizzazione di queste immagini o qualcosa del genere. 
I temi si intrecciano piacevolmente, cercherò di andare con ordine. Il fulcro della narrazione qui è un gruppo di lavoro di cui faccio parte e che si sta ponendo l'obiettivo di proporre attività ricreative/turistiche e culturali sul territorio montano di cui fa parte. Il mio ruolo è quello prettamente "artistico" anche se non disdegnerei attività organizzative, educative con i bambini e anziani ecc... nonché cose più tecniche come tener aperto un eventuale circolo, audio e luci e così via. Recentemente siamo passati da un approccio vago, in cui si discuteva sui contenuti e sulle motivazioni, a qualcosa di molto concreto, come la stesura di bandi, individuazione di progettuali e partner ecc... è in questa seconda fase che mi è venuta l'idea di pensare a due workshop incentrati su musica elettroacustica e field recording rispettivamente. Naturale immaginare compenetrazioni anche perché i software, per esempio, per la registrazione di materiale audio, possono essere introdotti in entrambi i contesti. Il laboratorio elettroacustico è praticamente pronto, mancano le date e la strutturazione orario. Manca in realtà un confronto con gli altri partecipanti al gruppo di lavoro perché proporre un incontro da 6 ore può andare bene per me ma non per un'altra persona ovviamente. 
Stessa cosa vale per il laboratorio di field recording, pronto in uno schema generale, da condividere e rivedere nei dettagli. La parte didattica è per me fondamentale da quando ho sperimentato direttamente il lavoro di insegnante. Una didattica quanto più possibile peer-to-peer perché la condivisione, prima che la trasmissione unidirezionale di nozioni, è quello che mi interessa. I laboratori sono pensati per fornire ai partecipanti strumenti e tecniche legate al mondo del field recording e della musica rumorosa DIY però propongono moltissime attività di gruppo, sia per quanto riguarda il confronto, sia per quanto riguarda la costruzione o la realizzazione di opere e installazioni. 


Tornando a noi e ai progetti in duo a nome "Il Prete", venerdì scorso (mi rendo conto solo ora di aver parlato dell'evento ma al futuro incerto) 22/03/2019 si è svolto un altro micro festino in location segreta. Questa volta i partecipanti sono stati pochi ma è un fatto che possiamo considerare cercato da noi "organizzatori". La proposta musicale, oltre ad un Dj set condiviso, è stata unica: una serie (perché alla fine è diventata tale) di microset da pochi minuti di HC e Power Electronics. Dico questi due generi perché non mi viene in mente nessun'altra descrizione anche se immagino ce ne siano di più comprensive. Parlerò della mia personale esperienza e del mio personale giudizio premettendo una spiegazione preliminare: non mi sento in grado di dire che il contenuto proposto da "Il Prete" venerdì scorso sia giudicabile con dei criteri musicali ed estetici; non credo che, per quanto mi riguarda, urlare in una lingua sconosciuta con tutte le mie forze e distruggere gli strumenti per farne scaturire un mare di Noise sia una cosa che faccio per gli altri, per cercare un giudizio o per altre forme di rinforzo. In altre occasioni il dialogo che si crea, il giudizio, le critiche, i consigli, possono essere l'obiettivo e io in primis me ne rendo conto e lo accetto. Qui però, cercando di fare un ragionamento più profondo della semplice spocchia da artista d'avanguardia, credo che il movente sia un altro; credo che quello che ci spinga a fare quello che facciamo, indipendentemente dal contesto, sia l'urgenza espressiva scaturita dal dialogo con il mondo in cui viviamo; sia, in definitiva, il prodotto, malato e per questo salvifico, di una frustrazione sociale che deriva da tantissimi fattori che non ha senso nominare qui (potrebbero essere il lavoro, l'ambiente familiare ecc...). In sintesi ognuno esorcizza le proprie paure, ansie, frustrazioni quotidiane, attraverso i rituali che più crede congeniali. Importante anche soffermarsi su quest'ultimo termine, rituale. Il rituale è un'attività umana stereotipata, ovvero ripetuta, che assume delle caratteristiche simboliche. Quali caratteristiche simboliche assume il suonare assieme improvvisando e dandogli contro? Per me è un rituale di purificazione dai veleni della società, della competizione, dell'iperstimolazione. Poi è anche un rituale di veridicità, un momento in cui poter fare tutto il possibile senza limitazione. Anche un modo per condividere questa urgenza, per rendere la ritualità collettiva. Nel passato (anche recente) il rituale assumeva forma propiziatoria, salvifica, esorcizzante: pensiamo ai riti di fertilità precristiani (Wickerman per esempio, pensando a qualcosa di cinematografico) in cui un sacrificio umano o l'accoppiamento fra persone della comunità, era in grado di dirigere le sorti della semina e del raccolto. Quanto potenti potevano essere questi eventi se intere comunità li svolgevano e se la vita stessa degli abitanti era plasmata sulla base di queste ricorrenze? Ecco io voglio un rituale collettivo che plasmi attivamente la vita delle persone e ne indirizzi positivamente il percorso futuro. L'azzeramento del rituale nella nostra società, o la sostituzione con micro-rituali individuali che non hanno nessun effetto positivo ma solo quello di cementificare nevrosi e comportamenti, è stato spacciato per corretto, tacciando la saggezza di ricorrenze (come minimo) centenarie di superstizione e falsità. Esiste un rigore scientifico che possa indagare correttamente questi eventi ma il fatto che fino ad ora non riusciamo a comprenderne il significato sociale, non significa affatto che siano sbagliati. Ripeto sono comportamenti umani che, in alcuni casi, si sono protratti per secoli mentre noi stiamo a specularci sopra da qualche decennio. Giusto questo abisso basterebbe per interrogarsi un attimo.


(L'immagine qui sopra, modificata leggermente, è anche diventata lo sfondo di questo blog). Venerdì sera quindi abbiamo fatto del sano HC NOISE destrutturato, del tutto improvvisato sul momento, senza prove se non un check nel pomeriggio, senza regole, senza ritegno. Una lettura potrebbe essere il rumore di fondo della vita, concentrato brutalmente in pochi minuti di performance, ne crea un'immagine negativa che è possibile poi esorcizzare facilmente. Ma anche rimanendo banalmente sul senso di libertà che fare una cosa del genere crea, mi pare che si raggiunga raggiunto una buona sintesi.
Qua sotto vi metto un estratto di un minuto di quanto suonato (e in parte registrato) venerdì.



Come vedete il progetto "Animali Morti" ha invaso praticamente tutti gli ambiti della mia vita artistica. Sicuramente è stata un'esperienza piuttosto potente, non avevo mai provato un grado di devastazione sonora così potente. A prescindere dal mio giudizio su quanto fatto venerdì nello specifico, devo ammettere che una cosa mi piace moltissimo: la proposta musicale de "Il Prete" è sempre stata differente, ogni festa e ogni apparizione live. Dall'improvvisazione elettronica, a questo HC in faccia, passando per l'impro con la televisione e SuperCollider. Una cosa, questa, che alcuni spettatori e amici mi hanno positivamente sottolineato.
Voglio una multimedialità o, come dice qualcuno, una transmedialità in quello che faccio. Voglio anche che la mia proposta sia quanto più varia e destrutturata possibile, con unica base quella semovente dell'improvvisazione. Solo così è possibile questionare direttamente e efficacemente la struttura dominante della proposta culturale e artistica. Solo con una proposta schizofrenica si può dialogare con la schizofrenia della modernità. Voglio che l'unica cosa che gli spettatori si aspettino sia il fatto di non sapere cosa aspettarsi, ogni volta una casualità, ogni volta una sorpresa di differente devastazione totale. E voglio contenuti, voglio proposte, voglio domande e dialogo. Non mi interessano le ripetizioni, gli argomenti di cui parlare sono stati già sviscerati abbastanza. Voglio un rituale dogmatico che liberi le persone da costrizioni e schemi di intrattenimento. E ovviamente voglio che la parola "intrattenimento" venga definitivamente eliminata dalla faccia della terra. La performance di venerdì è un po' un manifesto di questo pensiero, un pugno in faccia che ha il preciso scopo di destabilizzare la proposta musicale, rendere l'ascoltatore attivamente partecipe nel processo di creazione. Che poi, gli spettatori sono sempre partecipi e lo sono sempre stati, ma che sia consapevoli di questa partecipazione forse no. Bisogna interrogarli e non con domande verbali ma con azioni, con eventi sonori diretti esplicitamente verso la loro consapevolezza e il ruolo di ascoltatori, bisogna toglierli con violenza dalla loro sedia comoda o dal loro posticino fra la folla. Perché nel momento stesso in cui io mi strappo la maschera e le inibizioni beh, mi aspetto che lo faccia anche tu. Se io mi interrogo sui limiti della creatività e sulla tenuta della mie convinzioni mi aspetto che anche l'ascoltatore faccia un passo verso lo stesso tipo di domande. Venerdì è stato anche un banco di prova personale: volevo e volevamo vedere se quanto fatto non fosse solo un patetico elitarismo da musica elettroacustica ma potesse in qualche modo, come detto poche righe fa, spingere anche noi fuori dal personale cerchio di tranquillità. Io direi che per ora la missione si può dire compiuta: almeno per quanto mi riguarda non credo di essermi spinto così in oltre nel cercare i limiti della mia espressività. Il semplice fatto che ci sia riuscito però, automaticamente vuol dire che il confine si è solo spostato e questo mutamento apre a una serie infinita di speculazioni che non ho intenzione di affrontare adesso.


Il post qui si conclude dopo aver messo moltissima carne al fuoco. Mentre il mondo fuori continua a schiacciare tutto con la sua ineluttabile negatività, dentro sento un rifiorire di antichi entusiasmi. Ho bisogno di concretizzare maggiormente questi stimoli, ho bisogno di farmi totalizzare da questi interessi e ho bisogno di farlo rapidamente. Solo quando esprimo tutto questo mi sento realmente in equilibrio (o in disequilibrio, a seconda dei punti di vista) con il tutto.
Dopo questa breve pausa più personale, torno a lavorare sul post precedente a tema monografico. Un bel mattone effettivamente, quasi quanto quello di Tricoli. Ci risentiamo (spero) a breve, dopotutto sono quasi a metà.


giovedì 7 marzo 2019

04.03.2019 - Microsuoni e Valerio Tricoli


Oggi è un giorno particolare indeed o almeno lo sarebbe se fossimo in un altro tempo e spazio. Come si diceva nel post precedente forse sarebbe il caso di fare una prova e aumentare sensibilmente il numero degli scritti in questa sede. Un vero e proprio esperimento, per capire cosa potrebbe mai succedere. Sto ascoltando "The Necks - Body" (ho deciso che la dicitura corretta che utilizzerò d'ora in avanti sarà "Nome Artista - Nome album" così lo chiariamo subito e non ci torniamo più). Un disco molto chiacchierato durante la seconda metà dell'anno scorso, forse giustamente. Un'unica sessione di Jam, non certo improvvisazione libera, che però mantiene il suo fascino. Il trio australiano sa sicuramente il fatto suo. Riflettendo sul senso di una Jam non posso fare a meno di ritornare ai discorsi fatti in precedenza in questo blog, su quanto le regole possano in qualche modo soffocare la creazione. In questo disco si sente meno perché gli artisti sono eccelsi e si conoscono musicalmente da sempre ma non tornerò sui miei passi: se avessero fatto impro radicale li avrei apprezzati maggiormente. L'ascolto mi accompagnerà ancora per molto credo (unica traccia da 56 minuti circa) e quindi chiudiamo questa breve digressione e passiamo ad altro. Anzi prima vi posto il link di bandcamp così potete ascoltarlo anche voi durante la lettura e magari comprarvi la traccia.


Proprio mentre scrivevo le ultime righe è partito sto motorik insensato che mi ha un po' scosso se devo essere sincero. Ok, chiudiamola altrimenti non finisco più. Ascoltatevelo che merita (mi dicono anche grandi emozioni dal vivo). 

Oggi, 4 marzo 2019, ho voglia di tornare a parlare di un artista (anzi, Artista) che mi sta molto influenzando in questo periodo e di cui ho parlato nel post precedente, Valerio Tricoli. Questa sorta di studio su di lui vuole anche essere un banco di prova per capire quanto posso scavare a fondo e quanto io sia in grado di raccogliere informazioni musicali e biografiche con efficacia. Un tentativo reale di giornalismo musicale. 
Sapevo che mi sarei ficcato in un ginepraio senza eguali ma vabbè, ormai siamo partiti. Sicuramente una buona idea potrebbe essere delineare biograficamente l'artista. Valerio Tricoli è un artista Palermitano nato nel 1977. Utilizzando Discogs come fonte (più o meno spero) sicura per quanto riguarda le uscite discografiche del nostro, potremmo datare l'inizio della sua storia come esponente di una "certa" idea di musica elettronica nella prima metà degli anni duemila. Studia DAMS a bologna ed è facile immaginare una formazione musicale bolognese fra locali, incontri, concerti, ascolti e dischi che approda nella fondazione, assieme ad altri illustri compagni di viaggio, di un'etichetta di musica sperimentale, "Bowindo" sulla quale potrei spendere senza dubbio due parole essendo un gradino piuttosto importante nell'economia generale della narrazione. 

Periodo Bowindo

(e vi rimando alla sezione "about" del loro sito) è un'etichetta di promozione per musica sperimentale/avanguardia nata nel 2003. Nella sezione a cui fa riferimento il collegamento precedente, potete trovare alcune parole spese in occasione della fondazione del progetto. Si tratta (o trattava, non riesco a capire se è ancora in attività EDIT: a giudicare dalla pagina Facebook sembrerebbe ancora attiva ma in uno stato di semi quiescenza) di un progetto di studio sonoro per il quale il formato CD (o altro tipo di formato fisico) acquisiva un valore relativo, un mezzo per poter supportare un certo tipo di sperimentazione e ricerca. 

Tricoli fonda l'etichetta con Giuseppe Ielasi, Domenico Sciajno, Alessandro Bosetti, Claudio Rocchetti e Renato Rinaldi. Sono nomi illustri ovviamente che ci fanno riflettere su quanto l'ambiente avanguardista italiano sia intimamente compenetrato e riferito. Se poi seguissimo le suggestioni che Discogs ci offre, cliccando l'ipertesto relativo ad ogni nome, scoperchieremmo un vaso di pandora da cui sarebbe difficile districarsi. Tutti i membri fondatori hanno qualcosa da raccontare musicalmente. Claudio Rocchetti, che scopro ora aver sperimentato la scena HC Straight Edge, per esempio, suona da anni sia da solo che con progetti vari (recentemente ho avuto il piacere di vedere dal vivo "In Zaire" in cui milita anche Stefano Pilia e i "DeadSmoke" progetto industrial/drone/doom da martellate in faccia). Cito Rocchetti solo perché lo conosco "meglio" degli altri. Esiste comunque un filo conduttore che appare anche semplicemente sfogliando le singole pagine su Discogs ed è un certo interesse per macchine e tecniche concrete, appare già la figura fondamentale del Revox, lo storico registratore a nastro reel to reel che è ormai considerato il marchio stilistico di Tricoli (ma non solo). E direi giustamente perché l'utilizzo che ne fa è decisamente magico, ma ci torneremo più avanti. Anche lo stesso Rinaldi, cofondatore dell'etichetta, viene ritratto con un palese Revox nella foto di Discogs (anche se potrebbe essere quello di Tricoli per quanto ne sappiamo, il concetto comunque rimane invariato) assieme tra l'altro a una bottiglia di vino. 

Senza perderci troppo nel mare delle collaborazioni, vediamo di capire cosa Bowindo ha pubblicato nel corso di questi anni, dal 2003, data di fondazione, al 2015 cui risale l'ultimo disco effettivamente rilasciato. Non potrò dilungarmi troppo ma credo sia doveroso spendere alcune parole anche perché questa monografia si sta rapidamente trasformando in un esperimento di archeologia musico-giornalistica il che non può fare che bene. 

- Elio Martusciello - Aestethics of the Machine - 2003: la prima pubblicazione dell'etichetta. Elio Martusciello è un musicista elettronico e sperimentale originario di Napoli che ha all'attivo numerose creazioni e collaborazioni illustri. All'ascolto di un brano singolo, il disco appare uno studio sonoro rigoroso, privo di velleità concettuali, scarno, minimale. A giudicare dei titoli dei brani parrebbe proprio un album-test in cui vengono racchiusi alcuni pezzi per interrogarsi sui limiti del rapporto uomo/macchina nell'interfaccia audio. "Attention! These recordings are very, very loud. They are dangerous to the ears and for hi-fi systems. Listen with caution. Moderate the volume control…" giusto per completezza e per capire il contesto storico/tecnologico in cui questa (ma anche le altre in realtà) produzione si inscrive. Alcuni brani sono precedenti rispetto al 2003. Non è dato sapere nulla riguarda a strumentazione ecc.. solo un laconico "digital music", che potrebbe essere qualunque cosa. 

- Valerio Tricoli - Did They? Did I? - 2003: la seconda uscita dell'etichetta è a nome del nostro. Una sola traccia dell'interessante durata di 19 minuti e 19 secondi, composta l'anno precedente, nel 2002. La traccia IN sé dura 19.19 ma l'intero disco ha un minutaggio di 41 minuti circa. Questo perché al minuto 20.21 una traccia fantasma appare, verosimilmente un collage di materiale acustico proveniente dal tronco principale. Qui le cose si fanno maledettamente interessanti perché emerge un lato profondamente concettuale e stratificato. Conoscendo i suoni che la manipolazione su nastro è in grado di produrre possiamo immaginare che il lavoro già sia stato concepito attraverso queste tecniche. Per decifrare il significato di "Did They? Did I?" senza volerlo semplicemente inscatolare sotto la voce "avanguardia, musica concreta, field recording" ci serviamo di quanto afferma Dan Warburton, Paris Transatlantic (osservatorio europeo di musiche ed etichette sperimentali) lo stesso che aveva speso parole di elogi per la neonata Bowindo Recordings (e giustamente aggiungerei io). Lo traduco e lo sintetizzo, fate finta sia lui a parlare e non io. "Tricoli lavora sulla differenza fra interno ed esterno. Anche la foto di copertina (di Giuseppe Tedeschi) rimanda a questa dicotomia. I suoni, manipolati, certo, ma ancora riconoscibili, prevengono sia dalla quotidianità interna, gesti domestici potremmo dire, sia da ciò che viviamo all'esterno, come il traffico, le sirene di un'ambulanza, vociare dei passanti ecc... cosa significa differenza fra lo spazio interno ed esterno? Possiamo specularmente ragionare sull'interiorità della nostra psiche rispetto all'esteriorità del mondo? Esiste realmente un confine? E ancora, cosa succede quando i due mondi collidono, come in questo disco?" Warburton aggiunge poi (sintetizzo tantissimo, altrimenti non finiamo più) una riflessione molto stimolante sul tema del field recording "è arte oppure vita? possiamo veramente distinguere le differenze?". Il disco in sé è denso e, visto in retrospettiva nel mio caso, perfettamente "Tricologico" per usare un neologismo un po' infelice. Già 16 anni fa si intuiscono gli elementi fondanti dello stile dell'artista nonché le tecniche utilizzate. Se fate un salto in avanti e vi andare ad ascoltare gli ultimi lavori e live, vedrete che il parallelismo è lampante. "Did They? Did I?" lo potete trovare ed ascoltare sul web, non mi sono informato sulla reperibilità fisica. 

- Alessandro Bosetti, Antjie Vowinckel - Charlemagne, la vue attachée sur son lac de Constance, amoureux - 2003: terza uscita nello stesso anno. Purtroppo non riesco a recuperare un file audio da ascoltare. Mi rifaccio a quanto descritto sulla pagine relativa di Soundohm (che mi sembra una buona fonte di informazione). Un disco astratto, improvvisato, che fa largamente uso del silenzio come spazio musicale. I due si focalizzano su piccoli dettagli, microsuoni che vengono poi sviscerati lentamente, analizzati e sviluppati. Alessandro Bosetti (al tempo immagino) faceva parte di una scena di improvvisazione come sassofonista mentre Antjie Vowinckel era (o forse artisticamente lo è ancora) apprezzata in quella che viene definita "Text improvisation" nella scena radiofonica tedesca. L'ultima frase è contemporaneamente incomprensibile e affascinante e merita una piccola ricerca (mi sto fregando con le mie mani). Ok mi sono informato meglio: è un'artista prettamente "radiofonica" nel senso che utilizza la trasmissione radio come principale medium comunicativo, che dalla fine degli anni novanta si interessa di mondo artistico installativo, spoken words, linguaggio automatico, collages nel mondo radiofonico ecc... anche per questi motivi poco si può trovare di fisico, almeno nel portale Discogs. La maggior parte dei suoi lavori sono legati a residenze artistiche, workshop, programmi (necessariamente) radiofonici e altri eventi che ruotano attorno a questo mondo. Trovate il suo cv, in inglese, qui. Alessandro Bosetti potrebbe benissimo essere la prossima monografia tante sono le cose che sto scoprendo, solamente scorrendo un attimo la sua pagina su Discogs e Souncloud. Mi sono imbattuto nel suo ultimo (?) progetto che molto ha a che vedere con lo storytelling musicato e l'improvvisazione. Ve lo posto qui sotto giusto per spezzare un attimo la narrazione e per farvi capire la piccola epifania che ho vissuto.


- Domenico Sciajno, Gert-Jan Prins - The D&B Album Featuring: Do Shine'o & Prinsjan - 2003: qua la situazione si fa molto più complicata sopratutto per la mancanza di riferimenti. Unico brano che riesco ad ascoltare è "tablerock" che di astratto possiedo sicuramente molto, di D&B molto meno. Posso immaginare bassi saturi, clicks e micro pulsazioni ma poco altro non avendo alcun tipo di informazione. Sciajno mi accorgo avere una marea di pubblicazioni a suo nome. Oltre che fondatore di Bowindo è artista sperimentatore nel campo delle installazioni interattive, field recording, computer music. Possiede una formazione accademica ed è contrabbassista. Io sinceramente tornerei su di lui in un secondo momento: le pubblicazioni successive di Bowindo lo riguardano singolarmente e mi sembrano più significative. Gert-Jan Prins è un musicista olandese, anche lui fondatore di etichette e di gruppi musicali dalla metà degli anni 90. Si focalizza principalmente sull'improvvisazione ritmico/elettronica utilizzando vari tipi di dispositivi auto-costruiti o modificati (radio, circuit bending ecc...) qui potete vederlo intrattenersi con una televisione e satana. E la chiuderei qui. 

- Oreledigneur - Oreledigneur - 2004: La prima pubblicazione del 2004 è questo disco della formazione composta da altri membri fondatori dell'etichetta: Giuseppe Ielasi e Renato Rinaldi. Anche qui la difficoltà di reperimento è frustrante. Recupero e ascolto un lato B del disco precedente (forse un demo, un ep o qualcosa di meno strutturato) e intuisco elementi improvvisati utilizzando oggetti e vari modi per studiarne le possibilità sonore (archetti, strumenti di percussione, sovvertimento dell'ortodossia), uniti a elementi acustici, percussivi, quasi melodici più tradizionali. Nell'ultima traccia compare Stefano Pilia che ritroveremo più avanti senza alcun dubbio (forse il prossimo disco addirittura). Il poco che ho ascoltato sicuramente valido, intriso di un'atmosfera rarefatta, un po' oscura e obliqua forse. Quasi un catturare una performance, a metà fra impro e field recording. Le immagini che si trovano nell'interno del disco sono state tutte raffiguranti il Cosmodromo di Baikonur (giusto un pelo affascinante come posto). Se vi interessa il progetto (a me si quindi ho scavato un po' di più) potete trovare il lavoro di sonorizzazione "Alpi" in modo molto più accessibile rispetto alle cose più vecchie. Alpi è un documentario Armin Linke che parla, ma guarda un po', delle Alpi, cercando di svelarne i luoghi nascosti e soffermandosi sulla percezione del confine, della distanza, dell'uso e abuso di un luogo. La colonna sonora è appunto curata da Oreledigneur. Cito la descrizione trovata su bandcamp "consists of a cinematic montage of very un-naturalistic field recordings, as in the spirit of the film: artificial ski tracks, maintenance machines, scientific laboratories, ski jumping ramps, military academies, broken equipment, tunnel resonances and a lot more". 

- 3/4HadBeenEliminated - 3QuartersHadBeenEliminated: siamo sempre nel 2004. Il gruppo (non credo che lo riscriverò mai più per intero) è formato da Tricoli, Pilia, Rocchetti, tre nomi di un certo spessore, anche valutando retrospettivamente quello che abbiamo oggi, nel 2019. In effetti personalmente sono i nomi che conosco di più fra i vari citati fino ad ora (e credo anche nelle parti successive di questo post). Tricoli è il protagonista della nostra narrazione, di Rocchetti abbiamo accennato prima mentre Pilia non necessita di presentazioni arrivando ad essere persino il chitarrista dei Massimo Volume (lo conosco per questo motivo ma di collaborazioni ne ha a palate e potrebbe essere anche il soggetto di una monografia futura). Il primo, omonimo, disco del gruppo si può trovare facilmente sul bandcamp di Rocchetti. Anche i dischi successivi mi sembrano reperibili anche se non so con quale facilità e completezza. Ad ogni modo il contenuto è in linea con quanto proposto dall'etichetta. Anche in questo caso parliamo di droni, grandi riverberi, micro suoni e studi sull'oggetto, musica concreta, nastri, ecc... c'è tensione, alternanza fra momenti di silenzio (anche qui usato come stanza sonora con dignità propria) ed esplosione. Già nella seconda traccia, "The soul of their suits" appare chiaro l'intento del trio: unire le esperienze per un risultato olistico. Missione riuscita se si considera l'elevato grado di paranoia che si raggiunge già dopo pochi minuti, quando la melodia sbilenca si fonde con il vociare di un field recording e i droni ipnagogici si spostano repentinamente nell'immagine stereo. Gli elementi, in sintesi, sono questi. Vengono combinati in maniera diversa nel corso del disco creando un lavoro molto positivo. Vi linko direttamente la playlist dal bandcamp di Rocchetti. Ci tengo a sottolineare quanto un disco (e una formazione) del genere possa essere epifanico anche se tornerò su questo punto anche successivamente immagino: mi trovo ad ascoltare un lavoro creato da tre persone che conosco per diversi motivi e che, all'improvviso, si uniscono in una narrazione comune. Sono queste le rivelazioni che cerco e che mi sorprendono (quasi commuovono se devo essere sincero). Chiudo qui con i 3/4. Non hanno fatto solo questo disco ma per semplicità non mi dilungo oltre, ho citato solo questo perché l'unico ad essere uscito con Bowindo. 



- Domenico Sciajno / Ralf Wehowsky - Gelbe Tupfen - 2005: unica uscita per l'etichetta nel 2005. Troviamo Sciajno, di cui avevamo rapidamente parlato a proposito del disco D&B con Gert-Jan Prins. Rimaniamo anche qui sull'astratto/astrattissimo. Il disco si compone di 9 tracce, 5 a nome Sciajno e 4 a nome Wehowsky. Si tratterebbe quindi di uno Split più che di una vera e proprio collaborazione. L'arbitraria suddivisione dei brani si sente anche nella produzione in qualche modo: il filo conduttore è spezzato o irriconoscibile. Tutto viene sminuzzato e incollato barbaramente in un collage mostruoso e non è detto che sia un bene. I due brani che riesco a recuperare, uno per ogni artista coinvolto, non sono organici. In Wehowsky la cosa appare evidente nell'abuso di un approccio granulare che spezzetta voci, oggetti, suoni in un tentativo poliedrico che rimane tecnico e non tocca le corde tensive che poteva, per esempio, toccare Tricoli nonostante il cut-up fosse concettualmente identico. Stessa cosa vale per Sciajno solo che il materiale sonoro risulta essere più denso e dilatato, in particolare droni e riverberi. Soundohm vira in positivo rispetto alla mia valutazione "si tratta di una collaborazione in cui vengono recuperati materiali sonori precedenti, sia per un artista che per l'altro. La parte di Sciajno è apocalittica, oscura e ci guida in un'ambientazione piena di macchinari defunti, blackout, avarie. Wehowsky lavora più sui singoli campioni attuando una certosina opera di taglio e collage. Entrambe le composizioni invitano all'ascolto ripetuto, per poter cogliere le piccole variazioni e perle nascoste". Vorrei poter argomentare meglio, ma due tracce sole sono un po' poco per un giudizio dettagliato. Diciamo però che non mi ha impressionato particolarmente. 

Valerio Tricoli - Metaprogramming from within the Eye of the Storm - 2006: Troviamo ora un disco di Tricoli, aiutato nell'opera dei suoi compagni Pilia e Rocchetti anche se non si tratta di un'uscita a nome 3/4. Potremmo chiamarlo anche "elementi di Tricologia" perché le caratteristiche del musicista palermitano stanno diventando sempre più definite, ancora di più rispetto a "Did They? Did I?" La prima cosa che salta all'orecchio è la produzione più matura, i suoni sono riconoscibili e definiti, più a fuoco respetto al disco precedente. Lunghi droni e momenti statici si interrompono nel silenzio totale. I field recording sono spesso intimi, come i respiri o i passi della prima metà. Il nastro emerge nei micro suoni e nella manipolazione messa in primo piano, così come nel rumore meccanico del funzionamento, in un loop concettuale irresistibile "la macchina che registra sé stessa". Spesso le nevrosi proto-industriali di certi passaggi improvvisi si stemperano in droni sopra i 15 kHz, credo prodotto occulto del nastro stesso, opportunamente esaltati. Nel mio gusto i momenti migliori del disco si trovano nel più-che-illuminato utilizzo delle interruzioni perché esaltano la manipolazione diretta del momento e spezzano la distanza fra disco e performance: quando appaino queste sincronicità io vedo Tricoli fermare il nastro con una mano, lo vedo riavvolgere con violenza la bobina. O forse non ha mai usato il Revox in questo disco e io sto dicendo solo stronzate. Sicuramente un passo avanti come maturazione personale, non sono sicuro di volerlo collocare più in alto o più in basso rispetto al disco solista precedente, nella scala di valutazione che sto cercando di crearmi. Per adesso sospenderò il giudizio.

- Domenico Sciajno - Doves Days in Palermo - 2009: possiamo al 2009 con una serie di pubblicazione a nome Sciajno. Il disco è una raccolta di perfomance, svolte a Palermo nella primavera/estate 2008, in occasione dei Doves Days. Sciajno interpreta alcuni brani di improvvisazione, elettronica, elettroacustica con vari ospiti e li raccoglie, senza ulteriori editing, in questo disco. Il risultato è piacevolmente eterogeneo. Troviamo il clarinetto di G. Coleman, il rinforzo elettronico via laptop di K. Cascone (Kim, con cui collaborerà per un disco successivo, Hyaline, sempre per Bowindo) una tuba, sintetizzatori analogici, altra elettronica ecc... in tutto parliamo di 7 tracce live che presentano un filo comune nel ruolo di Sciajno che manipola direttamente il suono, il più delle volte acustico, prodotto (con risultati, devo dire, molto da Max/Msp) dall'altra metà del duo. La dimensione Live mi affascina molto di più rispetto ai lavori di cui abbiamo parlato in precedenza. Potrebbe solo essere una mia disposizione d'animo (è vero) però l'immediatezza della performance fa veramente molto nell'economia del giudizio. Per darvi una coordinata, Sentireascoltare dà al disco un 6.5/10 ma io sinceramente andrei un po' più su. Forse la mancanza di editing si fa sentire in alcuni punti ma porco cane è comunque un bel disco! Assolutamente, dopo l'ascolto più approfondito posso confermare che è un disco da 8/10.

- Domenico Sciajno - Sequens: Sequenza for ensemble of 16 elements - 2009: le registrazioni di questo gruppo di musicisti (cito da Discogs "flute, harp, piano, viola, trombone, voice, oboe, violin, clarinet, guitar, trumpet ecc..." spoiler: sono 16) risalgono in realtà al 1999 e solo 10 anni dopo, quasi a voler celebrare una ricorrenza, vengono riviste, mixate, masterizzate e pubblicato con Bowindo. Si tratta, ed è interessante proprio per questo, di un lavoro squisitamente accademico/cameristico che rivela il retroterra di Sciajno. Vederlo in retrospettiva è ancora più peculiare perché la scelta della pubblicazione "postuma" spezza radicalmente l'andamento tematico nelle creazioni dell'artista (basta guardare quanto fatto immediatamente prima e dopo rispetto a questo disco). Una discontinuità sicuramente bizzarra. Vado in cerca di riferimenti e, com'è giusto che sia quando si muovono i primi passi in un mondo così vasto, aggiungo, cospargendomi il capo di cenere, alcuni dettagli: il disco è un omaggio alle sequenze di Berio, artista che molto ha influenzato Sciajno. Leggendo la recensione di "All About Jazz" si colgono le sfumature "inquietanti" del disco così come il fatto che sia "sicuramente l'uscita più bella dell'etichetta in questo periodo (immagino 2009 e vicinanze)". Su Metamkine alcuni spunti per capire meglio: Sciajno e la cross-impollinazione nella musica contemporaneo/moderna e anche il motivo per cui ha pubblicato il disco 10 anni dopo aver effettuato le registrazioni (non vi anticipo niente va là. Personalmente? Non mi piace ma di questa musica veramente non riesco a capire nulla. Vi metto comunque un'altra bella e completa recensione per capire sia il lavoro di Sciajno sia (in parte) quello di Berio, è lunghetta ma ne vale la pena. Last week 4 disks arrived from Bowindo and this one blew me away - a concept plunderphonics album taht works brilliantly. I looked up the score so can explain the basics. What surprises me is that it was constructed/recorded in 1999 and has only now been released. Here goes: Luciano Berio wrote 15 Sequenzas - solos for a variety of instruments and one vocal. Sciajno got recordings of them (14 from DG and one from BIS) and a recording of a sequenza he wrote. After digitising them he divided them into four groups - a trio, two quartets and a quintet. He then cut the pieces up and interwove them to form group works: for example Parte 1 is a trio of flute, trombone and accordion. Here Sciajno shows his mastery of how to overlap, superimpose and separate the tracks in a counterpoint. The cuts from the tracks have to be played in sequence and all have to be used. What could have been a mishmash of sound becomes a strong modern chamber work through the combination of Berio's original composition and the skill of Sciajno. However, there is more: he then combines similar instruments (strings, brass, wind) and creates sections which are placed under the groups to create additional depth and atmosphere - 'fragments with similar characteristics have been grouped and superimposed to generate strong sections recognisable from their rhythm and harmony'. Less obvious - once you listen closely you hear them down there. The work also develops structurally - in each part the number of tracks on the mixer increases as the groups expand and the number of sections grows (2 in Parte 1, 10 in parte 4) [the score includes window-dumps of the structures of each Parte]. To describe the music would be hard - think of modernist solo pieces exploring the dynamics of the instrument in a classical format, rather than say the outerlimits of improv, with the lines coming in and out, forming solos, duets, trios, quartets, in a complex intense but not atonal or extreme, insightful way. I don't know if anyone else has done similar work, but this collaboration between two composers is astounding - Sciajno has remained completely faithful to Berio's compositions by 'merely' cutting/pasting them (and his own sequence fits) and created a new Berio work which was always there but never drawn out. Perhaps it is the copyright issues that have kept this hidden, but it is a masterwork worth bringing to light. - Jeremy Kerns, Ampersand, march 2009"

- Domenico Sciajno / Kim Cascone - Hyaline - 2009: nuova uscita per Sciajno. Questa volta collabora con Cascone, che già avevamo trovato nel disco di brani live "Doves Days in Palermo". Anche qui la collaborazione è elettronica. 5 tracce che si aprono con l'eterea (e per questo non nelle mie corde "Satyrium"). Perticles, la collaborazione che appare in Doves Days mi risulta molto più varia, più studiata e definita. I landscapes riverberati cominciano a starmi un po' stretti perché tendono a disperdere l'attenzione, la forza tensiva di oggetti definiti viene persa. La terza traccia ritorna sulla concentrazione microscopica dei dettagli ma poi si ripiega verso droni, riverberi, grandi spazi aperti. L'aggiunta di voci o di elementi antropo-riconoscibili non aiuta perché la manipolazione mantiene la struttura "ambient" su cui si fonda il disco. Su Rate your music c'è una recensione decisamente completa di questo disco: parallelismi che non ho assolutamente colto, significati nascosti e altre valutazioni che sicuramente aiutano nell'immersione. Per quanto mi riguarda è sicuramente un lavoro di tutto rispetto ma non possiede gli elementi giusti per far risuonare la MIA sensibilità. 

- Domenico Sciajno / Gene Coleman - Diospyros - 2009: altra collaborazione per Sciajno, questa volta con il clarinetto di Coleman. Anche lui, come Cascone, lo troviamo in Doves Days. Qua la storia si fa completamente diversa perché lo studio sullo strumento di Coleman si sposa perfettamente con l'elettronica di Sciajno. Sempre molto Max/Msp oriented, la manipolazione è reale, esalta i piccoli dettagli del compagno, oppure, al contrario, si sposta in secondo piano, sempre ricercato e mai fuori fuoco o poco definita (come accadeva con i mega droni del disco precedente). O magari avviene ma si tratta di monoliti neri di basse frequenze, senza riverberi o echi distanti. Appaiono per poi scomparire con il suono del clarinetto. Sicuramente sotto questo giudizio esiste una mia attuale predisposizione per il connubio elettroacustico ma, anche oggettivamente, stiamo parlando di un disco emozionante, variegato, che si interroga sulle relazioni fra i componenti e lo fa con curiosità mai doma, dall'inizio alla fine. Non ci sono momenti in cui si siede sugli allori o ritorna a parlare linguaggi conosciuti. 

- AMP2 / Tim Hodgkinson - Hums - 2009: conclusa la monopolizzazione di Sciajno passiamo a una release a nome AMP2. AMP2 è un collettivo di diversi artisti sempre dediti a sperimentazione, field recording, musica concreta, jazz d'avanguardia che abbiamo ormai capito essere marchio di fabbrica di Bowind. Il collettivo è composto da: Antonio Secchia, Dario Sanfilippo, Domenico Sciajno, Gandolfo Pagano, Giovanni Torregrossa, Marco Pianges, Oreinoi (Gaetano Samuele Calabrò). Disco di 5 tracce veramente poliedriche, a volte forse caotiche. Tim Hodgkinson, personaggio storico della scena impro inglese e cofondatore di Henry Cow nel 1968, qui si dedica alla steel guitar e all'elettronica. Il risultato è elettroacustica convulsa, con questi colpi di chitarra in primo piano, i microsuoni concreti che viaggiano da una parte all'altra dell'immagine stereo, la manipolazione elettronica sottile. A volte compare del field recording con cacofonie di folle in secondo piano. Non mancano i momenti di silenzio sapientemente utilizzati, così come la statica condita con micro dettagli. Piacevole nel complesso.

- Domenico Sciajno - Sonic Shuffle | The app release - 2013: (dovrebbe essere la) quattordicesima uscita per Bowindo. In questo caso si tratta di qualcosa di molto particolare: Sciajno disegna una scheda in PVC con all'interno un Sd contenente 48 file di musica elettroacustica e un'applicazione di conduzione. L'utente può, utilizzando il software fornito, creare una nuova conduzione a suo piacimento utilizzando il files disponibili. Un'opera ambiziosa e francamente molto intelligente che pone l'ascoltatore in una nuova dimensione di interattività. I brani vengono selezionati fra le migliori produzione elettroacustiche e provengono dai lavori di (vi faccio l'elenco direttamente) "Yasuhiro Morinaga, Carlos “Zingaro”, David Brown, Francesco Giomi, Franz Hautzinger, Chris Brown, Lawrence English, Toshimaru Nakamura, Phill Niblock, Frank Bretschneider, Gunter Müller, Oren Ambarchi, Lionel Marchetti, Kim Cascone, Asmus Tietchens, Ivan Zavada, Vladislav Delay, Alvin Curran, Daniel Schorno, Michael J. Schumacher, Elliott Sharp, Philippe Petit, Kazuyuki Kishino, Lukas Ligeti, Thomas Ankersmit, Lucio Capece, Dj Olive Gregor Asch, Cat Hope, Robin Fox, David Chiesa, John Duncan, Constantine Katsiris, Matthew Ostrowsky, Yannis Kyriakides, Tim Hodgkinson, Marc Behrens, Gert-Jan Prins, Anne La Berge, Anthea Caddy, Nikos Veliotis, Benoit Maubrey, Tom Recchion, Luciano Chessa, Thomas Lehn, Idrioema, Zimoun, Axel Dörner, Laurent Dailleau". Vi rimando direttamente alla pagina del progetto, sul sito della Bowindo, proprio qui ricordandovi però che reperire la scheda è assolutamente impossibile (sold out due mesi dopo la pubblicazione). 

- Francisco Lopez / Domenico Sciajno - udhv Gibel - 2014: mi rendo immediatamente conto che parlare di Lopex richiederebbe un blog intero a parte. Il suo scopo parrebbe quello di ricercare un'idea perfetta di musica concreta. Dagli anni '90 ha all'attivo più di 130 lavori e mi fermo qui. Il disco è una sorta di split, da una lato Lopez e dall'altro Sciajno. Le due composizioni durano circa mezz'ora e si tratta di field recording pesantemente modificato senza però snaturarne le caratteristiche essenziali. Forse Lopez più concreto rispetto al sodale, più fedele alla registrazione originale. In Horror Vacui, composizione dell'italiano, si trovano tutti gli elementi a lui cari, forse filtrati maggiormente dalla sensibilità di Lopez. Trovate tutto su Spotify.

- Alberto Novello a.k.a. JesterN / Flavio Zanuttini - Le Retour Des Oiseaux - 2015: siamo arrivati all'ultima pubblicazione di Bowindo: ha un valore peculiare perché parliamo di due artisti friulani che ho avuto l'occasione di vedere in numerosissime occasioni (sia come musicisti che come spettatori/esseri umani/miei pari) e di conoscere personalmente nel caso di JesterN (una persona decisamente figa). Colgo l'occasione di questa piccola epifania per tornare sul discorso della compenetrazione che si faceva prima: queste sincronicità sono disarmanti perché palesano una rete di connessioni che ha veramente dell'incredibile. Scrivendo un pezzo su Tricoli (che sta andando alla deriva ma che tornerà in carreggiata molto presto) mi rendo conto non solo che ha fatto formazione con Pilia e Rocchetti ma che l'etichetta da lui stesso fondata ha prodotto un duo composto da persone che conosco e che vivono la stessa scena musico/culturale che vivo io. Zanuttini, per chiudere il cerchio, è stato il cantante e trombettista del combo psycho-punk-anarco-noise-folk ARBE GARBE, un gruppo seminale nella formazione musicale mia e dei miei pari. Capite bene il grado di sincronicità come si eleva. Passando al disco in sé devo precisare che esiste un pregiudizio emotivo (positivo, sia chiaro) conoscendo gli artisti in questione. I due si assestano su posizioni diverse: Zanuttini è in primo piano, impro totale, si tuffa nello strumento e ne esplora le possibilità, anche strutturali. Novello è forse in secondo piano, rappresenta lo sfondo della composizione oltre che il manipolatore dei suoi provenienti dalla tromba di Zanuttini. L'effetto finale è esattamente quello del ritorno degli uccelli, la musica evoca un cielo plumbeo e stormi compatti che ondeggiano, come siamo abituati a vedere durante i cambi di stagione, nella realtà. Il disco è contenuto abbastanza bene in questa descrizione ma non significa che si limiti a questo, è variegato e anche i rapporti fra i due tendono ad alterarsi in maniera repentina creando momenti di piacevole sorpresa, sia tecnico/musicale che emotiva. Dalla pagina bandcamp del progetto, si capisce come sia tutto ispirato e dedicato a Olivier Messiaen, compositore, organista e ornitologo francese. Il disco, riferendosi anche a quella che, a mio parere, è la natura multidimensionale del volo degli uccelli, la libertà di movimento per sintetizzare, viene pensato in quadrifonia e viene venduto anche in questo formato. Poi è chiaro che bisogna avere un sistema per decodificare questo tipo di informazione audio però già la semplice proposta (i due consigliano l'acquisto in quadrifonia) è molto stimolante. Visto che stiamo divagando rispetto all'argomento principale del post la chiudo qua mettendovi però il player di bandcamp perché il disco (e le sincronicità ad esso collegate) meritano. 



OKS. Abbiamo terminato la sintesi su Bowindo. Per semplicità non ci siamo addentrati negli altri nomi o collaborazione altrimenti saremmo finiti veramente nel mare cosmico delle possibilità. Per tirare un attimo le fila: questa carrellata di progetti a mio avviso è importante per una serie di motivi. Sicuramente delinea l'idea di un Valerio Tricoli nel 2003, bolognese, esposto alle mille influenze dei locali e delle situazioni e poi traccia anche un'evoluzione degli ascolti e degli interessi decodificati dalle produzioni stesse dell'etichetta. Una parte importante, insomma, della vita artistica del nostro e un modo per capirne anche le produzioni future. 
Quello che faremo ora sarà completare le creazioni maggiori di Tricoli in ordine cronologico escludendo ovviamente quelle che già compaiono in precedenza. 

Valerio Tricoli / Stefano Pilia - Concrete Eloquent - 2003

Disgraziatamente non riesco a trovare nulla di questo disco. Le poche informazioni (non audio) che ho recuperato sulla scheda presente su Discogs dicono

"An electroacoustic composition by Valerio Tricoli & Stefano Pilia

running for approximately 33 minutes

including: Goebbels' Beautiful Daughters, Cioran (salm39, v12), 2/5 Had Been Eliminated, The Face of Sarah Palmer, Le Depeupleur 

instruments: analogue synthesizer, synth modulated snare drum, concrete sounds, pipe organ. 

recorded and edited in 2003

mastered by v.t. 

THIS RECORD IS MEANT TO BE PLAYED VERY LOUD (il grassetto è mio)."


E queste note non fanno che aumentare esponenzialmente il fascino di un disco che sarà, immagino, irreperibile. Se mai vedrò Tricoli o Pilia in futuro chiederò loro questo piccolo reperto. 

Dean Roberts / Valerio Tricoli - Popular Production Redux | Auditions - 2006 

Anche qua diciamo che le informazioni non si sprecano ecco. Il progetto dovrebbe essere, da quanto riesco a capire, una sorta di mixed Soundtrack estrapolata da alcuni film prodotti a nome "popular production", "Dora's Production" e "Constance Strange Films", tre case di produzione neozelandesi che, nel corso degli anni '90, hanno creato alcuni cortometraggi che potete trovare (non tutti, Dora's Production e sopratutto Constance ecc.. si sono persi nei meandri della storia) qui.
Il disco è composto da due parti: Popular Production Redux è pensata e creata solamente da Dean Robert (che è musicista neozelandese) mentre Audition nasce dalla collaborazione fra Roberts e Tricoli. La prima traccia, unica, della durata di mezz'ora circa, è, come dicevamo prima, la Soundtrack estrapolata dalle produzioni cinematografiche. La seconda traccia, invece, è una roba teoricamente mostruosa ovvero un pezzo composto dal suono di piatto (di batteria) ripetutamente ed esponenzialmente filtrato attraverso un software di non specificata natura. Tutto questo viene pensato con Phill Niblock in mente. Anche l'ascolto di questo disco viene consigliato "al massimo volume possibile" ma è attualmente irrecuperabile (su Discogs lo valutano una cinquantina di euro). 

Antoine Chessex / Valerio Tricoli - Coi Torment - 2010

Esce per l'austriaca Dilemma Records, nel 2010, questa collaborazione. Purtroppo, e lo dico con infinita tristezza, non riesco a trovare nessun riferimento per poter ascoltare l'unico brano del disco. Nell'intervista a cui mi sono rifatto molte volte durante la stesura di questo post (e che espliciterò successivamente) ne parlano molto bene. Dovrebbe essere una collaborazione fra le più positive fatte dal nostro e mi rincresce veramente doverne parlare per sentito dire. L'unica cosa che posso fare è mandarvi qui ovvero sulla pagina del progetto all'interno del sito di "Dilemma Records" e copiare la descrizione, suggestiva, che ne fanno loro. Anche questo disco si unisce alle varie cose da recuperare.
"Coi Tormenti" is the first recorded collaboration between Chessex and Tricoli. An obscure journey into a labyrinth of abstraction, the piece focuses on acoustic textures treated by the reel to reel tape recorder. "Coi Tormenti" is a strong sonic architecture starting like mysterious musique concrete and envolving into multilayered clusters of abyssal sustained tones resonating in the space like an ancient choir of errant voices. Rimango un po' con l'amaro in bocca. 

Valerio Tricoli / Thomas Ankersmit - Forma II - 2011

Qui le cose si fanno veramente interessanti. Il disco è accessibile e non una perla rara e finalmente, e nuovamente, ci scontriamo con la Tricologia che già avevamo trovato parlando dei lavoro del nostro usciti per Bowindo. Non dico che sia diventato uno dei miei dischi preferiti ma sicuramente si posizione molto in alto nella classifica. Qui possiamo apprezzare tutte le caratteristiche che fanno di una collaborazione nell'ambiente avanguardista, una grande collaborazione. Un'opera poliedrica in cui troviamo la microscopia sonora di Tricoli, i droni e le aperture quasi da cattedrale (mi pare che in un'intervista a Tricoli si parli proprio di "Cattedrali Sonore" anche se in questo caso le parti più dilatate sono di Ankersmit). Gli strumenti utilizzati sono molteplici: un riproduttore a cassette, un Revox, mixer ed effetti, un sistema modulare serge, computer e sax. La parte più elettroacustica è a carico di Tricoli mentre sax, computer, il sistema serge vengono gestisti da Ankersmit. Thomas Ankersmit che ha tutta una serie di pubblicazione a suo carico, sempre nell'ambito dell'improvvisazione, elettroacustica ecc... Ho ascoltato il disco una volta per intero, ieri sera e nonostante non mi ricordi con precisione tutti i dettagli posso sintetizzare con una parola: "tensione".



Sinceramente il termine potrebbe essere adeguato a descrivere tutta la carriera di Tricoli ed è la caratteristica che più mi piace del nostro. Quel senso di immediatezza che la manipolazione su nastro può offrire viene letto trasformando ogni disco (per quanto registrato, overdubbato, compresso, masterizzato ecc...) in una performance live. Forma II (ma varrà anche per i dischi successivi) possiede distintamente questa caratteristica. Veramente, è come assistere ad un concerto dal vivo, pare proprio di vedere Tricoli manipolare i campioni audio. Che discone. Ci siamo soffermati su Tricoli perché è il protagonista di questa retrospettiva ma non dimentichiamoci del suo sodale Ankersmit che mette un onesto 50% spostandosi su varie prospettive a seconda del contesto sonoro: overlayers di sax, distese sconfinate di droni, manipolazione elettronica. Nonostante le tecniche proposte dai due siano per certi versi divergenti, la comunione porta ad un livello altissimo di attenzione da parte dell'ascoltatore (Brent Mini 3.50 circa per capire quanto detto anche se non è l'unico esempio). 
Ultimo appunto: Forma II rappresenta un passo importante per Tricoli poiché primo lavoro uscito sotto PAN (Amnesiac Scanner, Puce Mary per dirne alcuni), storica e seminale etichetta berlinese di musica obliqua, gestita da Bill Kouligas il quale diventerà ben presto amico del nostro instaurando così una prolifica collaborazione "biunivoca". Con PAN escono successivi lavori di cui parleremo fra poco. 

Fabio Selvafiorita / Valerio Tricoli - Death By Water - 2011

Per fortuna anche qua il disco è reperibile con agilità. Esce per Die Schachtel, etichetta nostrana prima specializzata nel riscoprire perle nascoste dell'avanguardia italia per poi estendersi agli stessi contenuti nel presente (e nel futuro). Basta scorrere le pubblicazioni per capire che anche in questo caso meritatissima sarebbe una bella monografia: Curran, Lino Capra Vaccina, Marino Zuccheri, Claudio Rocchi, Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza (per dirne alcuni) per quanto riguarda la parte "archeologica" per così dire, Belfi, Pilia, I Bachi da Pietra (!!!!), Nicola Ratti, Attila Faravelli (cito quelli che conosco) e ovviamente Tricoli, per la parte più contemporanea. Il materiale e le credenziali ci sono eccome. E se mi permettete un'altra digressione, sono euforico nel considerare che ad ogni disco salta fuori qualche linea rossa ad unire i puntini fino ad ora separati. 
Il disco ha una durata di 41 minuti ed è un altro grande esempio della capacità tensiva delle collaborazioni del nostro. Comincia ad apparire una sfumatura seppia, quasi industriale, che evoca paesaggi abbandonati, riverberi naturali. Mi dà l'impressione di essere immobile dentro una fabbrica in rovina e di ascoltare con una lente di ingrandimento gli eventi attorno a me, il tempo si piega perché con quel livello di dettaglio non esiste una sequenza definita degli eventi, le cose possono apparire indistintamente più lente o molto più veloci. Entrambi gli artisti sono immersi nella cultura del field recording, della manipolazione analogica e della musica concreta. Anche se questi sono i temi predominanti nella carriera dei personaggi che abbiamo descritto anche "Death By Water" possiede una sua personalità specifica, ben diversa, per esempio, da Forma II. Il disco si avvicina più a "Did I?" o agli altri lavori elettroacustici, perché si focalizza sulla realtà degli oggetti e delle situazioni. Un lavoro teso, cinematico, iperrealista. Viene registrato sull'isola di Giudecca, a Venezia, nel 2009 e il legame con l'acqua e la laguna si fa potente, non solo per il titolo. L'immersione e la "Morte per acqua" sono concetti che emergono dalla saturazione dei suoni e dell'attento uso del silenzio come strumento compositivo proprio. Compaiono anche stracci di melodia, come i reperti di epoche passate illuminati dalla luce dei sommozzatori, è pura nostalgia mista a inquietudine perché la bellezza immersa è una bellezza lontana, distorta, spiacevole.
Incrociamo la strada con Selvafiorita per scoprire che Death by Water è stata la sua prima produzione. Beh complimenti. Su youtube è possibile trovare un estratto dei 41 minuti.


Valerio Tricoli / Bill Kouligas - Split - 2013

La collaborazione con il MASTER di PAN si consolida in questo split che esce a sorpresa per l'etichetta berlinese solamente in formato cassetta. Nel 2013 viene regalato a coloro i quali avessero comprato un tot di uscite di PAN ed è attualmente irrecuperabile. Immagino che nessuno si sia preso la briga di digitalizzarlo. Ad ogni modo, sempre parlando per sentito dire, si tratta di due composizioni, una per artista. Kouligas produce rifrazione di droni con il suo sistema modulare, parrebbero frequenze pure, per ricercare un effetto psicoacustico più che prettamente melodico. Dal canto suo Tricoli rimane in territorio conosciuto con field recording e concretismi manipolati via Reel to Reel. Anche in questo caso un po' di amaro in bocca per non riuscire a parlarne con cognizione di causa. 

Valerio Tricoli - Miseri Lares - 2014

Siamo arrivati ad un punto cruciale per la carriera di Tricoli. Miseri Lare è un disco immenso che esce per PAN in doppio vinile e in formato digitale. Considerato forse il più denso lavoro dell'artista siciliano rappresenta per me il suo vero compendio artistico e stilistico (a prescindere poi dal giudizio soggettivo che, anticipazione, sarà eccelso). Mentre scrivo queste prime righe rifletto sul fatto che io abbia ascoltato il disco solo una volta e che quindi sarebbe il caso di entrare nella narrazione più concretamente. Com'è facilmente intuibile, il disco è reperibile senza sforzi su varie piattaforme musicali. 
Voglio partire da "In the eye of the Cyclone", traccia centrale dell'opera. Un livello di tensione come mai prima nella carriera di Tricoli. Veramente ipnotico e spettrale ma non necessariamente negativo. Dopotutto il centro del ciclone è l'unico posto sicuro ed è proprio quella l'impressione: uno luogo immobile circondato da eventi fuori dalla nostra portata e comprensione. Forse per quello molti dei giudizi parlano di "oscurità", "negatività", "spettri" ecc... Per quanto riguarda il carattere "spettrale" dell'opera è facile capire il collegamento, considerando che parliamo di immagini sonore in negativo, dei field recording che documentano cose realmente accadute in un tempo/spazio diverso e che il nastro e la manipolazione riportano alla luce, anche in maniera molto violenta (passaggio fra la quarta traccia e la quinta ma non solo). Sì, sicuramente è un disco violento, anzi, userei la parola viscerale per rendere meglio l'idea. I reperti audio sono letteralmente strappati dal loro luogo (che è un luogo della memoria) e riportati concretamente in un contesto completamente diverso. Ritorna il tema della realtà e della finzione, della vita e dell'arte, dell'interno e dell'esterno come non mai dai tempi di "Did I?" Miseri Lares è uno studio minuzioso sul confine fra percezione e ricordo, 
Molti parlano di un'esperienza angosciante e orrida "Il suono di un puro, personale, inferno. Come se Lynch avesse creato la colonna sonora per un panorama di Bosch" ma io sinceramente non vedo nulla di tutto questo. è una mia visione personale ed è probabile che mi sbagli ma quello che percepisco io è la vivisezione del, come detto prima, confine fra realtà e ricordo o fra interno ed esterno. Ovvio che il processo è doloroso ed intenso perché è l'oggetto stesso dello studio ad esserlo. Entrare all'interno di queste cose non può che essere un viaggio travagliato così come condividere i risultati. Immagino solamente quanto deve essere stato difficile per Tricoli partorire un disco del genere (ammesso che abbia alle spalle i discorsi che sto facendo). Il contenuto musicale del disco è Tricologia Pura elevata all'ennesima potenza, la produzione è matura e i materiale audio scelti sono sopraffini. Troviamo anche voci (recitato di vari testi, da Dante allo stesso Tricoli) in varie lingue che passano da iperdefinizione a sottofondo muovendosi agilmente nell'immagine stereo. Immagine che mai come ora viene padroneggiata, sopratutto nei repentini cambi di atmosfera e nel dettaglio microscopico dei suoni e degli oggetti. E poi c'è il Revox, vero compagno e protagonista (ascoltatevi l'inizio della traccia Miseri Lares per capirlo) con cui Tricoli instaura una vera e propria collaborazione, al pari dei nomi che lo hanno accompagnato nei dischi precedenti. Il registratore Reel to Reel si anima, diventa manipolatore e manipolato perché rappresenta il canale di comunicazione dei ricordi, è come un portale che viene aperto e che permette alle esperienze di fondersi con il reale. Più che un portale lo chiamerei ingranaggio e come tale se ne possono registrare e rimanipolare i microsuoni, in una sorta di gioco di rimandi che penetra nel feedback. Sì, Miseri Lares è un disco circolare, e al contempo lo studio di questa circolarità. Il gioco di scatole cinesi non intacca però l'accessibilità dell'opera che scorre e cattura con estrema facilità. Qui siamo davanti ad un disco totale. Aggiungo solo una cosa che vale più di mille speculazioni: ascoltatelo prestandoci la dovuta attenzione, magari più di una volta. Immergetevi nei dettagli. 



Werner Dafeldecker / Valerio Tricoli - Williams Mix Extended - 2014

Esce per Quakebasket questa riedizione del lavoro di John Cage, datato 1951 (circa). La composizione originale si basa sull'utilizzo simultaneo di 8 bobine producenti 8 gruppi diversi di suoni, precedentemente catalogati. Cage scrisse una partitura che in realtà divenne una sorta di "ricetta" sulla preparazione degli 8 nastri. Suoni dalla città, campagna, suoni prodotti dall'aria (anche canzoni o melodie), prodotti manualmente, elettronici e "piccoli" vengono combinati utilizzando l'I Ching come processo divinatorio. Il brano originale dura circa 5 minuti ma la riedizione del 2014, adattando in punti di tagli su nastro al software digitale, raggiunge la mezz'ora. La libreria prodotta dai due arriva ai 2000 suoni diversi. Il risultato si distanzia dallo stile di Tricoli ed è da immaginare come il rigoroso prodotto di una composizione. Interessante e sopratutto valido di ascolto per capire come un processo "divinatorio" possa lasciare il segno su di una composizione. Lo trovate qui sotto, video youtube. 


Valerio Tricoli - Clonic Earth - 2016

Ci stiamo avvicinando al presente. Esce sempre per PAN questo lavoro solista di Tricoli. Anche in questo caso, come per Miseri Lares, si tratta di un formato particolare, doppio LP e digitale. Rispetto a Miseri Lares qua parto proprio da 0, sarà per me il primo ascolto.
I temi sono speculari rispetto al full (double) lenght precedente con l'aggiunta di un'evoluzione sensibile. Tricoli continua a puntare il riflettore sui fenomeni sonori e mnemonici che si posizionano fra ciò che è visibile e ciò che non lo è e lo fa spostando l'attenzione dalla violenza viscerale di Miseri a qualcosa di più "umano" quasi, come se fosse riuscito a definire i contorni di un ricordo specifico oppure avesse rievocato parole più che suoni. Nel complesso è un disco più monolitico, fatto di ampie superfici piatte, moltissimi droni (anche se non riverberati come alcune collaborazioni precedenti in cui suonavano quasi finti) e tanti temi "ostinati" come il debris ad alta frequenza della prima traccia. Sicuramente la dimensione spettrale qua è in primo piano perché il fantasma di una persona o di un atto umano è molto più potente nel nostro immaginario rispetto al negativo di un suono puro. Sì ecco, rispetto a Miseri forse il tema della stratificazione è più centrale: ogni traccia è complessa, tridimensionale, composta da innumerevoli strati sovrapposti e compenetrati. Questo non è affatto un giudizio di valore, comunque. è un disco più "antropico", più emotivo forse. Viene meno anche quel rapporto meccanico con lo strumento, quell'analisi istologica del suono che aveva portato alla luce il "mondo oltre lo speaker" come lo definisce lui stesso (ed è un'immagine di una potenza devastante) a favore di una visione forse più olistica. Parafrasando e cercando di concretizzare, nella mia mente in primis, il processo creativo che lega la sequenza dei due dischi, parrebbe che in Miseri Tricoli abbia condotto un'esplorazione dal rigore scientifico e in Clonic abbia sviluppato i negativi ottenuti, evocando immagini anche più "accessibili" da un punto di vista emotivo. Il primo disco dei due, insomma, sarebbe votato al "The Product is the Process" di Psychica memoria.
Non ci sono solo voci o droni. Il disco è un ecosistema di vita brulicante che tenta di emergere da ogni fessura. Legandoci al filo del ragionamento mi sembra una cosa perfettamente comprensibile: mentre sezionava con dovizia lo spazio fra realtà e ricordo, oltre alle immagini volutamente ricercate che sperava di evocare, Tricoli ha trasportato su nastro (e quindi su disco) del materiale sonoro ulteriore che non ha niente a che vedere con uno spettro emotivo conosciuto. Parliamo delle sfuriate noise, dei microsuoni di ingegneria aliena, il debris magnetico citato prima, voci di insetto ecc..., tutte cose che lottano violentemente con l'immanenza e la purezza di strutture sonore più accessibili (comprensibili sarebbe una parola grossa). Questo contrasto è forse il fulcro della narrazione perché costringe l'ascoltatore ad un lavoro di difesa notevole, un livello di attenzione sempre elevatissimo. Prendiamo le voci corali di "II. Stromkirche or Terminale": non hanno più nulla di umano, viste di riflesso dentro ad uno specchio rotto o opaco, deformante. Ci confrontiamo con loro e le riconosciamo come tali ma subito la nostra ancora, la nostra narrazione personale viene spezzata dagli elementi destabilizzanti che risalgono e vi penetrano all'interno, costringendoci ad un nuovo lavoro di ricerca di equilibrio. Rispetto a Miseri, che ha avuto il pregio di mostrarci il Re Nudo, il processo di scoperta, asettico e scientifico, Clonic ci interpella direttamente. Il lato negativo di questo è che non siamo assolutamente in grado di gestire un così elevato livello di coinvolgimento. Una dimensione ritualistica più che sonora. Sulla pagina Bandcamp c'è una descrizione più strutturata del contenuto del disco, estrapolata anche dalle parole dell'artista stesso. Merita sicuramente una lettura e quindi ve la incollo qua direttamente. "The new record, 'Clonic Earth' is a perturbing, compelling and eventually mind-expanding work, marked by compositional strategies of exploded narratives, psychological insight and oracular literary references, where questions about the boundaries of spatial perception in the decoding processes of acousmatic music are overturned into existential, metaphysical questions. Tricoli's allegorical and philosophical universe takes the form of an unhinged mind's landscape swarming with estranged sound objects, and sometimes reminiscent, in the complexity of details and surrealistic effects, of Hieronymus Bosch’s larger paintings. Compared to his previous works, the content of 'Clonic Earth' explores more synthesized and heavily processed sounds, especially vocals, often appearing in the form of a religious, electrified chanting. The record is described by its author as a natural consequence of the internal collapse depicted in his previous record, 'Miseri Lares': "As if all the debris left inside my loudspeakers have been ignited to expand into the ether, to find a justification at the principle of Chaos, or Cosmos alike." This movement is expressed by references to the theme of fire as original matter in the Chaldean Oracles which, together with the later work of Philip K. Dick, are the main sources for the vocal/text elements of the composition. Fire, intended as the convulsive principle of existence, but also an ontologically terminal element - hence a representation of the infinite decay and a mean of communication with the otherworldly - serves the author a metaphor for the acousmatic listening experience itself: a borderline perception of sounds eternally fixed in their spasmodic disappearance, which could eventually drag us into a different layer of reality, drastically changing, subverting, or expanding the space in which they are diffused. A ritual, somehow, which may link the listener and the perceptive space that he inhabits with whatever lies beyond the loudspeakers, beyond the vibrating surface of the world". Molte cose differiscono leggermente da quanto detto sopra però noto piacevolmente che la convergenza esiste. Per concludere vorrei sottolineare ulteriormente la connessione imprescindibile fra Miseri e Clonic, che andrebbero probabilmente ascoltati senza soluzione di continuità per avere una buona chiave di lettura. 



Hanno Leichmann / Valerio Tricoli - The Future of Discipline - 2016

Prima di due collaborazioni (della seconda parleremo dopo, anno 2018). Hanno Leichmann è un produttore, curatore e musicista attivo nei soliti circuiti che abbiamo imparato a conoscere nel corso di questo lungo post. L'affinità poi genera connessioni e collaborazione e questo è il motivo per cui ora siamo qui. Se leggiamo brevemente la pagina personale di Leichmann, capiamo subito che esistono alcune differenze fra la sua attività e quella di Tricoli, anche in termini di interessi musicali specifici. La componente ritmica / Dub / Club esiste per il musicista tedesco ma non certo per quello Palermitano e questa separazione è il fulcro su cui ruota "The Future of Discipline", un disco che esplora la ripetizione leggendola attraverso la sensibilità "concreta" di Tricoli. Il risultato è veramente affascinante perché i due mondi sono lungi dall'essere esclusivi. Un lavoro ipnagogico, pulsante, profondo. Sembra di ascoltare alcune cose dei Coil e di quella scena rituale oscura a loro affine. La collaborazione è interessante perché ci fa capire la capacità di integrazione di Tricoli e delle sue tecniche magnetiche anche in chiave più "strutturata" (non volevo dire ritmica) e il risultato è veramente degno di nota. 6 brani dalla durata anche piuttosto contenuta per gli standard a cui siamo abituati. Forse la scelta dei suoni più aggressivi, da parte di Leichmann, non si trova esattamente nelle mie corde, troppo lo-fi, preferisco largamente le pulsazioni sotterranee su cui si basano le progressioni. Qua sotto trovate i brani. Il disco esce per la (prima) Londinese e (poi) Belga Entr'acte, etichetta centrale in questo tipo di ambiente, con all'attivo un grosso quantitativo di uscite (centinaia) dalla fine degli anni novanta ad oggi.



Valerio Tricoli - Vixit - 2016

Sempre dello stesso anno un'altra uscita a nome singolo. Esce per l'italiana Second Sleep, etichetta specializzata in musica d'avanguardia e sperimentale, attiva dalla seconda metà degli anni 2000. Fra i dischi pubblicati troviamo anche nomi conosciuti come Rocchetti e Lettera 22 (di cui fa parte Matteo Castro, fondatore dell'etichetta). C'è anche una pubblicazione a nome Sec_, artista di cui parleremo sicuramente in futuro, anche se non so ancora in che forma/contenitore (mi sto convincendo sempre più a farne una monografia specifica, considerando anche le affinità elettroacustiche con Tricoli e per mantenere un certo grado di continuità). Ma torniamo a noi. Vixit è un'uscita più sotterranea rispetto a quelle con PAN e forse giustamente, uscendo con un'etichetta che non possiede tutta quella cassa di risonanza anche mediatica. La differenza su questo piano non si accompagna certo ad una minore qualità. Non mi sentirei di mettere Vixit all'interno di un trittico con Miseri e Clonic, i contenuti sono diversi secondo me; sicuramente la qualità è sempre elevata ma le suggestioni e gli obiettivi cambiano. Basta ascoltare "Di vaga crepa, di gelido futuro" (che nome incredibile) per capirlo: non stiamo più parlando di uno studio minuzioso sulle potenzialità dell'oggetto (anche se l'approccio tecnico/elettroacustico rimane invariato) quanto piuttosto di una ritualità circolare più eterea, un aspetto che avevamo sfiorato in Clonic Earth ma con intenti decisamente diversi. Gli spazi si fanno molto più aperti e dilatati, sottomarini (?) quasi che rimandano alla collaborazione con Selvafiorita. Tutto molto fumoso e ovattato, visto attraverso una porta a vetri. Lo spazio viene riempito completamente, anche nella dimensione tridimensionale dell'immagine stereo. Un disco denso e pieno che dimostra ancora una volta la capacità di Tricoli di creare suggestioni e architetture reali, tangibili, stanze delle quali è possibile definire senza sforzi i limiti e le caratteristiche. Approfitto di queste immagini per ribadire ancora una volta una delle qualità che più mi affascinano di questo artista: la tridimensionalità, la spazialità. Il disco pare sia disponibile solamente in vinile anche se ammetto di non aver fatto una ricerca particolarmente approfondita.


Hanno Leichmann / Valerio Tricoli - La casa delle Chimere - 2018

Siamo arrivati alla fine. Ultima pubblicazione a nome Tricoli estrapolata dalla sua personale pagina Discogs (dopo faremo alcune considerazioni finali e sintetiche al riguardo). Ritorna la collaborazione con Hanno Leichmann e il disco esce sempre per Entr'acte. Il sodalizio si fa maturo e già dalla prima traccia si capisce la direzione che i due vogliono intraprendere. Ritorna la circolarità che avevamo trovato nel disco precedente ma questa volta le due personalità sono più a fuoco, definite all'interno dell'opera. I mega bassi DUB che aprono "Logica Means of Destruction" di certo non sono farina del sacco di Tricoli per intenderci, che ha un ruolo legato più al cut-up vocale e i dettagli elettroacustici. Le strutture ritmico/tribali che sorreggono i brani spesso si dissolvono in un'atmosfera più sfumata ma senza una vera rottura repentina. Interessanti anche i contrasti ritmici fra il beat di Leichmann e le ripetizioni magnetico/meccaniche di Tricoli che creano piacevoli battimenti e poliritmie. Una collaborazione che piace e che evolve rispetto alla precedente, anche se perde un po' quell'elemento di oscurità naive che possedeva "The Future of Discipline". Devo però ammettere che alcuni passaggi più DUB non mi hanno fatto impazzire (EDIT: i momenti DUB che non mi hanno fatto impazzire sono, purtroppo, una buona parte del disco). Ve la metto proprio qui sotto.



Conclusioni

Siamo arrivati alla fine del post più lungo mai scritto su questo blog. Non mentirò, è stato difficile, ma è stato anche terribilmente stimolante. Per scrivere tutto c'ho messo 3 pomeriggi di lavoro pieno e devo ammettere che ne è valsa la pena. I motivi del mio entusiasmo sono molteplici e più volte sono apparsi nel corso della narrazione. 
- Esiste un filo conduttore, anzi, una trama che corre al di sotto delle storie raccontate e che lega in modo più o meno intenso (a seconda dell'artista o del progetto) i vari personaggi di cui abbiamo parlato. Questo già di per sé sarebbe sufficiente a giustificare lo sforzo "giornalistico" del reperire informazioni. 
- Il ruolo di Discogs nel giornalismo musicale. Qui non so bene cosa pensare nel senso che da un lato è innegabile che la struttura di questo post sia basata sull'archivio, però dall'altro mi domando quanto possa essere completo. Ammetto però di non aver mai trovato niente di così definitivo e sopratutto contenuto in un'unica sede. L'immediatezza della pagina personale di Tricoli e di tutte le etichette e artisti a lui collegati, mi ha agevolato enormemente il lavoro. Senza probabilmente sarei ancora ai 3/4, cercando di capire quando e cosa abbiamo rilasciato e con che etichetta. 
- I microsuoni. Questo è un elemento squisitamente personale nel senso che parlare di Tricoli e dei suoi progetti, sopratutto quelli solisti, mi ha permesso di innamorarmi di uno studio del suono che non avevo ancora messo a fuoco. Il suo approccio è rigoroso e permette veramente di scoprire dei mondi sonori affascinanti e altrimenti inconcepibili. L'amore per il Revox poi, che possedevo già da un po' di tempo, grazie a questo viaggio si consolida. Per sintetizzare questo punto conclusivo basta ascoltare la prima traccia di questo post, un personale tentativo di Abstract Turntablism (fallimentare ma stimolante).
- Lo storytelling. Anche in queste conclusioni saltano fuori termini come "narrazione", "trama", "personaggi" ecc... che nonostante facciano parte più di un mondo letterario che musicale, sono un modo perfetto per descrivere, in chiave soggettiva, l'esperienza e l'epifania musicale che sto vivendo. Termini come "produzione", "lavoro" ecc..., per quanto purtroppo tenda anche io ad usarli, non possiedono quella sfumatura romantica che mi aspetto invece da un narrazione che dovrebbe essere il più possibile intima. Questa libertà stilistica è uno dei punti di forza del formato "blog". 
- La volontà di continuare con le monografie, formato che mi ha permesso di portare alla luce connessioni che altrimenti sarebbero rimaste sepolte. 

Fine.