giovedì 14 luglio 2016

Za! - WANANANAI


Ancora e per sempre Spagna. La convinzione che sia il posto perfetto per la generazione di un certo tipo di sonorità sta piano piano diventando una certezza. Nonostante la palese somiglianza (omonimia) con Zu, poco hanno a che vedere gli uni con gli altri. Mentre nel buco nero italico di morte e disperazione si parla la lingua oscura del jazz - core filtrato da satana qua la chiave di lettura è il sole di Barcellona. Parole spese a cazzo su un disco fatto da due tipi completamente fuori da ogni contesto: ogni paragone con qualsiasi tipo di genere musicale - gruppo musicale, presente, passato (e futuro), diviene completamente inutile quando dopo 4 minuti di dub - psy salta fuori una caleidoscopio di feedback, tutto storto, pieno di tempi mai suonati dall'uomo, poi ricade nel dub e, infine, si perde in loop armonizzati di voci. Poi blip - blop, anche. 
Nel senso ragazzi c'è poco da fare, stiamo parlando di pesi massimi dell'improvvisazione costruttiva, libera ma con un occhio (dei vari) puntato al groove profondo. Prendete una canzone come "El calentito #3". Un brano strutturato sulla base dei due precedenti (come accadrà anche per il trittico "Hotto!!" "Hottero!!" "Hottesto!!") basato su un giro dispari su cui si inserisce una voce dritta, un po' in levare e un po' in battere, a seconda di come si srotola il ritmo. La sostanza del brano si amplifica fino a un apice, ricade nel silenzio ritmico, viene "abbellita" da una svisata vocale con tanto di urlo grattato da chiodi in gola. La risalita ritmica è lontana nella stereofonia, accompagnata da un basso così denso da sembrare un classicone da club londinese: si modula, si scurisce, si satura, si dissocia dalla melodia, si ricongiunge, altalenante. Alla fine rimane solo lui, per pochi secondi, solo un basso nero pece. E la canzone finisce. 

ATTENZIONE: è successa una cosa bellissima. Ho ascoltato e contemporaneamente scritto queste righe su "Calentito #3" assolutamente convinto fosse "Calentito #1". Questo assurdo malenteso ha generato una rottura spazio temporale nel giudizio: i tre "Calentito" sono talmente perfetti da risultare, al final, completamente indivisibili, nonostante ovviamente diversi nel contenuto. Un miracolo firmato Za!.

Giusto per terminare il discorso, "Calentito #1", vera colonna portante fra i tre, dà le basi melodico - ritmiche per le successive composizioni, ma mettendo sul tavolo degli elementi decisivi. Prima chiave di lettura è la spina dorsale ritmica, fatta sempre da un giro sbilenco nelle diramazioni più "free" ma ben saldo su 8avi riconoscibili quanto intricati. Battiti di mani (finalmente perfetti nell'azzeccare il tempo, non come il 99% degli abitanti della Spagna) condiscono un intro destinato a perdersi in pulsazioni dub. La melodia è arricchita da un tromba sciolta nel riverbero (tipo a 1000km di distanza nelle stanze stereofoniche) che segue a ruota (o è seguita?) da una stilettata di chitarra graffiante come se fosse Albini (o antani). Poi sono gli intrecci vocali a rapire gli ascoltatori: armonie fratturate dal tempo incostante e avvolte in progressioni quasi afro beat (chitarra + chitarra un po' di ottave sotto). Il finale è apoteosico, un susseguirsi di parole sempre più complete e sempre più incastrate nel pattern matematico. Esplosione, riff assassino + urli-di-quelli-che-fai-in-studio-registrando-quando-sei-preso-dalla-musica-che-tu-stesso-hai-registrato = DIOCANE.

A sto punto facciamo anche "Calentito #2": 

DUB + TROMBA = MADDAI

Ascoltatevelo (non su bandcamp che si sentono le pause fra le canzoni) in modo da avere una maggiore fluidità fra le strutture e capirete esattamente cosa significhi essere spettatori di un piccolo miracolo.

Ovviamente non c'è solo questo concentrato di figosità a determinare, per "Wanananai" lo status di BOMBA ATOMICA". 
Basta andare a caso: i due "intermezzi" "Chinloop" e "Singaloop" sono l'esempio perfetto delle cose che tutti i gruppi fanno cercando di essere fighi mentre fanno un disco ma in cui, ovviamente, nessuno riesce. Tranne gli Za!. Il concetto è semplice: prendi la coda di una canzone e la ripeti per un tot di secondi. Poi ci metti un nome figo. Fine. Hai fatto la genialata però chiaro, ripeto, devi essere un geniale duo spagnolo e chiamarti Za! altrimenti l'unica cosa che ottieni è sembrare (ed essere, te lo assicuro) un idiota. 

Poi vabbè, non servirebbe neanche dirlo: "Sùbeme el monitor" (lo so, l'accento andrebbe dall'altra parte). Una canzone con un significato che anche voi, italici lettori, potete facilmente intuire. Significato che merita il racconto di un aneddoto, letto chissà dove, forse un'intervista ai due Barcellone(n)si. Concerto, situazione abbastanza normale, si attaccano gli strumenti, si controllano i pedali, si fa il Check. Durante questo "rituale dell'assestamento volumetrico (jajaj)" salta fuori che il tizio alla chitarra urla

SUBEME EL MONITOR

La situazione però vuole che fosse attiva una loop station sulla voce. Quello che salta fuori (oltre alla canzone su disco) è, come potete facilmente immaginare, un'apocalisse di jam session DAL VIVO, SU UN PALCO, A CASO. Da qui il titolo della canzone e, non stento a crederlo, anche granparte del suo contenuto. Un gruppo che si permette di fare una cosa del genere, va da se, dovrebbe essere osannato a nuovo messia sulla terra per tutti i genere musicali. Le persone dovrebbero ascoltare questo disco per rendersi conto che le loro jazzate in 15/16 - core magari possono tenersele e, già che sono in mood depresso da cane bastonato, appendere qualasisi tipo di strumento fossero in grado di suonare dopo anni di faticosa carriera e ascolti pazzi, al chiodo. Ciao. E sì chiaro, io non facevo le svisate jazz.core in 15/16 però la mia visione della musica "laterale" è cambiata quando ho ascoltato gli Za! (come mi era capitato altre volte, in altri contesti, con altra musica). Non c'è niente di sforzato in un disco del genere (ma nemmeno in quello successivo, che sto ascoltando ora), niente di costruito a tavolino, niente di "programmato". Sono due testate nucleari che, per un motivo o per l'altro, si sono scontrate nella penisola iberica e hanno creato qualcosa di umanamente impensabile e, ovviamente, irripetibile. 
Se dovessi dare un voto sarebbe, ovviamente: 666/10. Consigliatissimi. Ma che dico, 

OBBLIGATORI

lunedì 4 luglio 2016

M.A.K.U. SoundSystem - Mezcla


Domandina spontanea: cosa ci fa una disco del genere qui? Un blog che nel 99% dei casi ha trattato musica del demonio, un posto in cui (da adesso in avanti) convivono il soundsystem latino e i Teitanblood non dovrebbe esistere. E invece sì.

Ci eravamo lasciati con una frase tanto inflazionata quanto (a mio parere) perfettamente vera: "il certo e innegabile potere esorcizzante della musica". Beh che ci crediate o meno (molto facile e intuitivo in realtà) la mia serenità e integrità interiori si accompagnano automaticamente ad ascolti più aperti, areati, meno oscuri e claustrofobici. Oserei dire luminosi ma non vorrei esagerare.

Questo è un disco davvero bellissimo. Il SoundSystem, come ci si aspetta da un nome del genere, è un combo gigantesco composto da (attualmente) 8 persone, distribuite, senza entrare troppo in dettagli, una voce femminile, varie maschili, basso e chitarra (forse /e), sicuramente due strumenti a fiato (sax sicuramente e tromba), batteria e percussioni più altri elementi vari. C'è anche del synth (ovvio come ho fatto a non pensarci).
La provenienza è palesemente latina e affine, si sente ovviamente dall'accento e dalle ritmiche contorte e percussive però non saprei dire esattamente, utilizzando solo questi elementi, la localizzazione precisa nella vastità del latino america (escludendo ovviamente brasile mexico argentina cile etc quindi effettivamente potrei tentare un golfo del messico o comunque alto continente). Nonostante questa provenienza palese, tutti i componenti fanno un po' i borghesi musicisti a new york (vabbè sai chissà che storie assurde hanno dietro).

Non mi ricordo neanche quante tracce sono contenute nel disco, ho provato a cercarlo nella mia libreria e, non trovandolo, c'ho rinunciato. Saranno una decisa dai, una più, una meno.

Il contenuto squisitamente musicale lo potete immaginare: ritmi convulsi haitiani, fiati in levare, la voce latina mezclata con quella inglese in liriche che, anche senza conoscerne il significato, hanno proprio il sapore del mare, della naturaleza, dei sorrisi.
Se andiamo a scavare nei significati sono colmi di quella fedeltà alla terra naive tipica dei gruppi latini: alberi corteccia acqua balli sole alba atardecer e altre amenità su quanto la vita sia un caleidoscopio di colori e incontri. Da questo punto di vista i M.A.K.U. poco si discostano da tanti altri gruppi parecidi. Le voci sono alternativamente maschile e femminile: profonda la prima, carica di immagini tropicali la seconda. Lo switch fra una e l'altra è fluido, le parti si distribuiscono equamente in un vortice anche, perchè no, di significati corrisposti; un dialogo insomma. 

Tutto nella norma quindi. Fino a qui "solamente" un disco carino senza punte di magnificenza tanto decantate dal sottoscritto nella prima parte della narrazione. Cosa rende quindi questo disco un capolavoro agli occhi di chi parla?
Un sacco di cose in realtà, imparzialmente suddivise fra

ASSOLUTA IGNORANZA SUL GENERE

(ma comunque gran voglia di imparare. a questo proposito vorrei fare un appunto su quanto mi sia innamorato di queste sonorità funk - afrobeat - tropicali, sopratutto in questo ultimo periodo di ritrovato equilibrio emotivo (giusto per tornare al potere esorcizzante della musica)) che ha determinato una profonda sorpresa nell'ascoltare della musica così coinvolgente

ma sopratutto un serie di elementi distintivi che cercherò di sviscerare in queste poche (moltissime) righe che rimangono. 
Prima di tutto l'incredibile capacità che possiedono i M.A.K.U. di generare felicità è buen rollo dentro le persone e fra le persone. Veramente, creano un alone di felicità e presa bene misto fra il reggie (che non mi va generalmente a genio) e l'irrefrenabile volontà di muovere il culo figlia del funk (e dei tropici dai). Una bolla di positività che ti accompagna ovunque tu sia, camminado con le cuffie, in città guidando la macchina, in pausa studio (questa è una bomba ==> 5 minuti di pausa = 5 minuti di musica, una roba super figa che ho appreso da poco). Fichissimo insomma, essere felice semplicemente facendo una cosa "banale" come ascoltare la musica.

Secondo
LA PSICHEDELIA

eh si, veramente. Psichedelia a bestia. Ma proprio tantissimo, ovunque. Prendete il giro di synth all'inizio di "Thank You", proprio per essere palesi e farvi capire ma, in realtà, tutto il disco è foderato di vibrazioni lisergiche, ovunque, persino nella voce (voci). Ed è una cosa strana, almeno per me. Sia chiaro, mi aspettavo qualcosa del genere da gruppi funk lisergiche afro, non da questi ballerini del demonio caraibico. Ovviamente non mi lamento, anzi. Con questo tipo di sensibilità psichedelica tutto il disco mi è sembrato familiare, come uscisse direttamente dai miei soliti ascolti. Un animo di questo tipo me li ha fatti involontariamente avvicinare a questo, uno dei miei video preferiti di sempre, pieno di chilling e sonorità latine miste a sana psichedelia (digitale immagino ma anche non troppo). I Bomba Estereo non sono in realtà quelli rappresentati nel video e, eccezion fatta per alcune perle che mi porto dentro, ormai non sono il gruppo che ho amato (credo esattamente un anno fa). 

Terzo
LA MALINCONIA

C'è come una vena amara in tutta la produzione di questo disco. Qualcosa che non riesco esattamente a definire. Qualcosa che corre sottotraccia, una significato quasi nascosto ma percepibile. Quel sentimento di malinconia che ho visto e percepito spesso nella musica, nella lettura, nelle parole, negli incontri di chi ha radici latine. Il sorriso di chi guarda l'orizzonte del mondo, di chi vive in un continente che potremmo definire la cosa più vicina al paradiso esistente eppure, dentro, vive la sofferenza, la negatività degli uomini, la cattiveria delle azioni. Parole del cazzo spese da mille persone prima di me mille volte meglio ma alla fine poco importa, potrei cercarne altre e sarebbe comunque banale e scontato. Fatto sta che la malinconia nel disco dei M.A.K.U. c'è eccome, palese nelle liriche emotive di "De Barrio" e "Happy Hour" oppure nascosta fra i fraseggi e lo splendore raggiante dei fiati. 

Chiudendo la "recensione" un po' a caso secondo me la bellezza è tutta lì: la fedeltà alla terra, riscattarsi, amore e amore, nostalgia ingestibile, profondità insondabile. ma anche felicità e bellezza, tutto mezclato così bene da apparire come un gigantesco quadro magnifico.