Ieri ho avuto una visione. Stavo guidando in autostrada, in viaggio con mia madre. In quel momento ero triste e arrabbiato, scosso da alcuni avvenimenti di poco conto ai quali avevo attribuito un valore spropositato. In macchina c'era silenzio. Tutto ruotava nella mia mente tranne che una distensione, una risoluzione di quello stato emotivo. Avevo dato per scontato che avrei affrontato i problemi che mi portavano in quella landa di malessere direttamente, di persona, la mattina del giorno seguente ma, come molti di questi stati (e come molti di noi immagino) i dettagli ingigantiti possono predare la nostra quiete indipendentemente dalla volontà. Ma tant'è. Questo è l'abstract del mio aneddoto.
Ci sarebbe (senza condizionale) da aggiungere anche un contesto più "esistenziale", il malessere che ognuno di noi poi trovare alla radice delle cose, che lo (più o meno ) accompagna nel corso della giornata e che nasce dagli errori, dai problemi non risolti, dai simboli ecc... dopo capirete meglio perché è doverosa questa aggiunta.
Improvvisamente tutto scompare. Mi correggo. Non tutto tutto, non ho messo in pericolo la vita di mia madre né la mia né quella degli automobilisti con cui si condivideva il tratto di strada, ho continuato a guidare senza problemi, però la mia emotività, l'insieme mal definito delle mie sensazioni, delle mie emozioni, è stato trasportato in un territorio perfettamente reale e, devo ammettere, del tutto distante da quello che potrebbe essere (nell'immaginario comune) lo scenario di una visione.
Mi sono trovato (mi trovo) in un'anonima zona residenziale, grigia, uniforme, non degradata o sporca o malsana, semplicemente pura, ordinata nei sui palazzi, nelle sue finestrelle tutte uguali nei suoi tetti spioventi. Era (è) giorno. Non ci sono persone, non parlo con nessuno, potrebbe benissimo essere un'immagine ferma. Non è una fotografia perché ero (sono) pervaso da un vero senso di esistenza, di esserci all'interno della visione. Mi sovviene l'immagine di una moderna città tedesca, o comunque nordica ma non danese né olandese. Forse scandinava. Non c'è neve ma fa relativamente freddo. Il cielo è grigio perlaceo ma non uniforme. Qua e là si intravedono nubi filiformi più scure sullo sfondo chiaro (o viceversa?). Non faccio caso alla vegetazione, non faccio caso a macchine o oggetti di arredo urbano. Non mi soffermo sulle luci alle finestre. Non noto rumori perché non ce ne sono. Tutto è immobile e mi avvolge. Sono il centro della visione, sono letteralmente la visione stessa (e come potrebbe essere altrimenti?).
Bianco
. -- c- _ _ _C_:.-c c -._C: ____-C: ::__
Grigio
Sono gli unici colori, ovviamente declinati in mille sfumature. Una sfumatura di grigio è ancora grigio? Chi ha deciso la quantizzazione del pantone? Una convenzione culturale? Mi sta bene.
Questa è la forma/forma-contenuto della mia visione. Ho subito pensato alla radura del significato, uno spazio presente/assente in cui possiamo immaginare l'essenza delle cose ma subito mi sono corretto perché l'essenza non la puoi vivere, si cela nel momento in cui si disvela. La mia visione non si celava, non celava il suo significato. Non era carica di simboli. E mi direte: certo che era ::_;,::_::____:_:-;;,..:-:_:__:_:-,.,,,,,.. carica di simboli. Come fa a non esserlo? Tutto è carico di simboli, tu solo, per una tua virtù autodiagnosticata, pensi di cogliere le cose così come sono? La mia risposta è
_.-_-
--:_.__:__:-
I vostri argomenti non mi interessano. O meglio. Mi interessano ma non stiamo parlando di simboli. Stiamo parlando di totalità, di visioni. Non voglio spiegare qualcosa, non voglio disvelare, non voglio spiegare, non-piegare. Io voglio piegare, voglio accartocciare, voglio confondere, far implodere il senso su sé stesso. Spiegare e stirare sono due cose che odio.
La visione porta con sé la calma delle forme e delle geometrie, il senso di introspezione che solo guardare da una delle tante finestre uguali di tanti edifici uguali può dare. La percezione dello spazio come estensione di sé, incluso in un contesto residenziale anonimo e in scala di grigi è quasi liberatorio, catartico. E mentre mi trovo lì, contemporaneamente fuori e dentro e in macchina, ecco che il malessere si sgretola partendo dalle piccole contingenze quotidiane, puntuali, per poi passare a questioni più profonde, raggiungendo il male che si annida fra i ricordi e che quasi contribuisce al fondamento dell'identità. Un evento rapido e totalizzante. Un albero marcio che va in pezzi partendo dalle piccole foglie di morte ancora attaccate all'estremità dei rami.
Cosa può esserci di così definitivo, di così totale? Niente, e infatti la visione ritorna ad essere tale nel momento stesso in cui cerco di viverla, il benessere torna ad essere una delle parti del tutto, le contingenze e i problemi dell'esistenza ritornano intatti ad occupare il loro posto.
Quindi?
Non pretendo che un evento epifanico cancelli tutti i debiti che ho contratto con me stesso e con gli altri. Sarebbe troppo trascendente, sarebbe una paraculata pseudo-religiosa. Una visione può essere rievocata, può essere utilizzata per raggiungere uno stato di quiete più oggettivo rispetto al caos della realtà. Come se le linee ordinate delle palazzine uguali, nella loro piacevole gradazione di grigio, fossero lo schema sul quale raddrizzare i turbamenti interiori e renderli proporzionati, meno aggressivi e illogicamente schiaccianti, invincibili. I problemi umani rimangono tali, non escono da noi, non acquisiscono vita propria, non soverchiano con la potenza di un dio.
La visione è realmente successa qualche settimana fa (1 e mezza rispetto alla data di pubblicazione). Quando scrivo qualcosa che riguarda il presente ma poi lo pubblico nel futuro (che è ora presente) questa sensazione di spostamento spazio-tempo è sempre piacevole. Mi fa riflettere su quanto effimera sia la consequenzialità degli eventi, considerando che una visione, una cosa che secondo il nostro modello (e il mio) trascende la cronologia, convive forzatamente con l'accettata teoria di cause-effetto storica. Le due cose possono esistere contemporaneamente? Forse sì, forse no. Forse mi piace negare con una visione il senso comune del tempo oppure semplicemente mi piace dire cose su argomenti dei quali non conosco nulla.
La visione porta con sé la calma delle forme e delle geometrie, il senso di introspezione che solo guardare da una delle tante finestre uguali di tanti edifici uguali può dare. La percezione dello spazio come estensione di sé, incluso in un contesto residenziale anonimo e in scala di grigi è quasi liberatorio, catartico. E mentre mi trovo lì, contemporaneamente fuori e dentro e in macchina, ecco che il malessere si sgretola partendo dalle piccole contingenze quotidiane, puntuali, per poi passare a questioni più profonde, raggiungendo il male che si annida fra i ricordi e che quasi contribuisce al fondamento dell'identità. Un evento rapido e totalizzante. Un albero marcio che va in pezzi partendo dalle piccole foglie di morte ancora attaccate all'estremità dei rami.
Cosa può esserci di così definitivo, di così totale? Niente, e infatti la visione ritorna ad essere tale nel momento stesso in cui cerco di viverla, il benessere torna ad essere una delle parti del tutto, le contingenze e i problemi dell'esistenza ritornano intatti ad occupare il loro posto.
Quindi?
Non pretendo che un evento epifanico cancelli tutti i debiti che ho contratto con me stesso e con gli altri. Sarebbe troppo trascendente, sarebbe una paraculata pseudo-religiosa. Una visione può essere rievocata, può essere utilizzata per raggiungere uno stato di quiete più oggettivo rispetto al caos della realtà. Come se le linee ordinate delle palazzine uguali, nella loro piacevole gradazione di grigio, fossero lo schema sul quale raddrizzare i turbamenti interiori e renderli proporzionati, meno aggressivi e illogicamente schiaccianti, invincibili. I problemi umani rimangono tali, non escono da noi, non acquisiscono vita propria, non soverchiano con la potenza di un dio.
La visione è realmente successa qualche settimana fa (1 e mezza rispetto alla data di pubblicazione). Quando scrivo qualcosa che riguarda il presente ma poi lo pubblico nel futuro (che è ora presente) questa sensazione di spostamento spazio-tempo è sempre piacevole. Mi fa riflettere su quanto effimera sia la consequenzialità degli eventi, considerando che una visione, una cosa che secondo il nostro modello (e il mio) trascende la cronologia, convive forzatamente con l'accettata teoria di cause-effetto storica. Le due cose possono esistere contemporaneamente? Forse sì, forse no. Forse mi piace negare con una visione il senso comune del tempo oppure semplicemente mi piace dire cose su argomenti dei quali non conosco nulla.
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