giovedì 29 dicembre 2022

Limbo(lo) come uno dei 7/6 nani





si chiamerà limbo(lo) e parlerà dei limbi intesi come spazi fra le cose, entità indicabili (con un dito) ma non definibili (con la parola). ho deciso che metteremo al bando le lettere maiuscole. l'uniformità del minuscolo è molto più estetica. così come mettiamo al bando le formattazioni pompose e altre situazioni grafiche che, arbitrariamente 

E STOP

e ripresa. interrotta da un evento improvviso una settimana fa. non ricordo nemmeno di cosa stavo parlando, o meglio, di cosa volessi parlare perché l'unica cosa che so è che sta formalizzando un pensiero prima che sonasse (voluto) il telefono. 

[
ok possiamo sempre virare il tutto verso un argomento aleatorio ma conosciuto (e conoscibile): la mancanza della magia come strumento per decodificare la realtà. 
come facciamo ad accedere all'incomprensibile? possiamo: 
- utilizzare la fede;
- comprenderlo;
- non comprenderlo e goderne;
- non comprenderlo ed averne paura (o altro alla paura relazionato);

la comprensione è l'approccio più inflazionato: non conosciamo una cosa ok, studiamo, inserendola più o meno forzatamente in un sistema di riferimento e ok, l'abbiamo conosciuta e possiamo accedervi (magari utilizzandola per spiegare altre cose inconoscibili, in un intricato sistema di rimandi di matrioske). è il caso della scienza e del metodo scientifico, parto da un'ipotesi (basata su altri sistemi di ipotesi e premesse, anche a propri) e poi raccogliendo i dati arrivo ad un obiettivo di conferma o confutazione. va bene poi dentro ci mettiamo di tutto, la statistica, la quantistica, più o meno matematica, molto linguaggio, della probabilità ecc... e arriviamo alla conclusione che viviamo in un sistema di leggi verosimili perché autoreferenti ecc... ok ci sta nessuno mette in dubbio questo. 

accanto a tutto questo abbiamo altri sistemi, che chiameremo "minori", che aiutano a spiegare, in maniera contestualizzata e altrettanto autoreferente, fenomeni che i sistemi "maggiori" non sono in grado di spiegare. fra questi sistemi minori la magia, magik ha un ruolo. deve avere un ruolo. 
genesis p-orrige, all'inizio della bibbia psichica, cita la sensazione di totalità provata da bambinu guardando la scorrere del paesaggio dal finestrino del treno. è un'esperienza epifanica, non possiamo definirla altrimenti. è il nocciolo della soggettività ultima, inspiegabile, inconoscibile. non si avvicina semplicemente ricorrendo ad un sistema di riferimento maggiore. ma neanche minore forse. lo si esperisce nell'immane momento presente, lo si accetta, lo si abbraccia come epifanico e lo si riverisce. il punto successivo, giusto per rimanere in tema magik e bibbia psichica è automaticamente l'orgasmo, l'esperienza sessuale, un momento di così profonda e inconoscibile intensità corporea può essere solo approcciato con lo strumento minore della magia epifanica. 
anche l'atto creativo è questo: le trame del gorgo oscuro che non mostro sono magike, non appaiono per deduzione. o meglio, tutto dipende dalla sensibilità del singolo. un artista può manipolare la materia della propria arte (suono, materiali vari, colore ecc...) lavorando per deduzione, basandosi sull'esperienza passata, immaginando una strada possibile. un'altra artista può vagare nella sincronicità, aspettando (?) l'epifania, arrendendosi con sottomissione alla volontà del fuori. quali siano le strade da percorrere per me è tutto un mistero. 

è davvero interessante come (magik?) le letture intersechino pensieri non formalizzati (nel passato): sto affrontando, devo dire con piacere e non estrema difficoltà, la lettura di "contro il metodo" di Feyeraben (un tizio che sembra pure simpatico a guardarlo su google). Ho da sempre sostenuto che la cieca fede nel metodo scientifico fosse quanto meno criticabile. Vedere concretizzarsi questa idea nella mente di persone altre da me, con tra l'altro dovizia di complesse argomentazioni, non fa che piacere. 
Lungi dall'essere un anarchico "politico" (estremismo, malattia infantile del comunismo), F. tratteggia i fondamenti di un'epistemologia anarchica, indicando i gravi limiti "irrazionali" del metodo scientifico analizzato sotto la luce (perfettamente legittima e sottovalutata in malissima fede) della storia. Quelli che io ho chiamato "sistemi minori" (se confrontati con il sistema maggiore, chiaro), per F. sono delle alternative valide che l'epistemologo anarchico può trovarsi nella posizione di dover, o voler, difendere, indipendentemente dal peso schiacciante della teoria (o episteme) dominante. 
L'esempio fondamentale che F. introduce e argomenta nel corso del libro è quello di galileo e della teoria copernicana, in contrapposizione all'episteme fino ad allora imperante dell'eliocentrismo. Emergono degli aspetti fondanti lo spostamento epistemico che pochissimo hanno a che fare con il metodo e l'esperimento in sé e moltissimo con aspetti storici, culturali, psicologici, propagandistici. Anzi, si arriva alla strana situazione paradossale per la quale l'aver (implicitamente, inconsciamente, a posteriori) accettato l'irrazionalità a sfavore di un rigido metodo scientifico sperimentale ha permesso lo sviluppo delle teoria galileiane e, di conseguenza, la scienza come la conosciamo oggi (newton e post-newton). Ma non solo, le stesse dinamiche "irrazionali" verificatesi nel rinascimento si ripresentano intatte durante il 900 e di conseguenza, anche ora. Per dinamiche "irrazionali" intendiamo: 
- preferenze politiche che favoriscono programmi di ricerca piuttosto che altri (e qui f. fa un bellissimo esempio con la medicina tradizionale cinese e la sua "a tavolino" messa al bando e successiva ripresa in diverse fasi del regime comunista; 
- preferenze economiche (e quindi politiche) che favoriscono programmi di ricerca piuttosto che altri; 
- e a seguire, ma sempre relazionate con le prime due, dinamiche psicologiche e sociali, persino intimidatorie nei confronti di scienziate e ricercatrici, così come mediche, utenza ecc...

insomma se si accetta di usare la storia come metro di giudizio della scienza, non limitandosi a rintanarsi nella "purezza" del metodo (e soprattutto nella sua presunta immanenza e astoricità) si scopre che accettare tutti i metodi senza favorirne nessuno, oppure criticarli tutti di fatto non fa grande differenza. padroni di niente, servi di nessuno. 

a cosa ci serve tutto questo? 
- non ne ho mai parlato in questa sede ma ho intrapreso da un paio d'anni un percorso di formazione in agopuntura. La medicina tradizionale cinese è letteralmente ciò di cui parla f., un sistema metodologico alternativo, incommensurabile rispetto al metodo scientifico e di difficile discussione con pari (soprattutto mediche) che provengano da una esclusiva formazione occidentale. grazie a "contro il metodo" ho un'arma argomentativa (senza fare la guerra ovviamente) notevole e autorevole; 
- stessa cosa vale per l'arte anche se ci spostiamo in territori leggermente più scivolosi: anche in questo ambito esistono dei metodi, degli epistemi, dei puristi e degli anarchici. l'approccio di f. ci aiuta ad avvicinarci in maniera umile, critica e aperta alle varie manifestazioni del processo creativo. in particolare ci aiuta anche a scovare le dinamiche socio-economico-storiche nascoste dietro ad un apparentemente innocuo sistema di "produzione" musicale, utilizzando una metodologia anarchica e scettica. Oltre al "semplice" "disvelare le dinamiche" dietro a processi creativi apparentemente astorici e neutri, f. ci aiuta ad agire con schemi anarchici e cortocircuiti semantici in grado di fornire alternative (parziali per ora) agli ormai inevitabili percorsi, appunto, "produttivi". Il fatto che la creazione musicale (sorvolando sul significato dei termini "creazione" e "musica") venga oggi largamente definita "produzione musicale" e che quindi l'oggetto finale del processo sia un "prodotto" è emblematico. f., nel suo saggio, spesso tocca la questione economica in relazione alla ricerca scientifica anche se (in parte giustamente) non le dedica mai, per dire, un capitolo intero. a costo di ripetermi: è inutile considerare l'arte un ambito asettico, astorico e apolitico semplicemente come meccanismo di difesa nei confronti del reale. invece di nascondere la testa sotto la sabbia e credere che l'ennesimo video promozionale di yuotube sull'ultimo modulo o sull'ultima drum machine sia una vetrina per dimostrare le capacità creative dell'oggetto, cerchiamo di scavare cunicoli e labirinti di feedback dentro il cubo della realtà. 

uno dei possibili grimaldelli per scardinare porte e collegare fra loro ingressi e uscite potrebbe essere 

la
RESIGNIFICAZIONE
il
RICOLLOCAMENTO SEMANTICO
il 
RICOLLOCAMENTO FUNZIONALE

perché? sono tutti e tre concetti inventati, mutuati o utilizzati contestualmente ad una pratica artistica ben specifica. Partiamo dalla seconda per spiegare i primi. 
la pratica artistica alla quale mi riferisco è il no-input mixing. autoesplicativo nel senso che si tratta di collegare un mixer, uno strumento nato e cresciuto con uno specifico scopo, con sé stesso (le uscite in loop all'interno di canali di ingresso) con lo scopo di ottenere suono. il tipo di suono poi varia in base all'equalizzazione, al guadagno, al pan e così via. lo spettro sonoro evocabile è ampio e affascinante, può essere (e spesso è) un muro di suono impenetrabile così come un delicato ticchettio pseudo-ritmico. può essere usato da solo oppure fuso assieme a strumenti non toccati dal processo di resignificazione (compressori, effetti, gate ecc...) ma non per questo inficianti il contesto generale di cortocircuito: anche la liminalità, lo spazio grigio fra ortodossia produttiva e ricollocamento semantico è interessante: come funziona un compressore (che sta facendo proprio il compressore, non un'altra cosa) quando si interfaccia con qualcosa di alieno, sottoposto ad una modifica sostanziale della sua funzione e della sua "ontologia"? si forma un costrutto potremmo dire cyborg, fusione di vari elementi che originano la propria natura dalla relazione che intrattengono con gli altri. Si sta delineando un ecosistema di feedback. ll mixer non è più un mixer ma diventa un po' synth, un po' compressore, un po' gate. Il compressore non è solo un compressore ma è anche un po' mixer, un po' generatore di suono e così via. non c'è inizio e non c'è fine proprio perché ci immergiamo in un sistema compatto, non quantizzabile, continuo e in cui i bordi fra un'entità e l'altra diventano progressivamente più sfumati. 
questo significa, per riallacciarci a f., che avremo bisogno di nuove ontologie e nuovi metodi per poter accedere al sistema che abbiamo creato. o forse no. la comprensione non è obbligatoria, non dobbiamo per forza generare una nuova ontologia per poter spiegare un fenomeno, non dobbiamo forzatamente creare modelli organizzativi e di senso per poter accettare un fenomeno (in questo caso) sonoro. 
ma è pur sempre vero che, da un punto di vista politico, la capacità di spiegare un fenomeno, di dargli un nome e poterlo indicare produce degli effetti positivi come: 
- identificazione e sopravvivenza: è quello che succede con la frammentazione del genere come pratica identificativa e di sopravvivenza;
- azione: indicare significa riconoscere e riconoscere significa agire, modificare; 
in un mondo utopico queste due necessità non sarebbero utili, potremmo farne a meno, ma siccome ci troviamo ancora in un spazio (appunto) liminale, fra utopia e realtà, per poter agire, per poter creare percorsi di cortocircuito, dobbiamo inevitabilmente riconoscere gli elementi per poter collegarli fra di loro. 
definita questa necessità ontologica, come possiamo agire? il concetto di cyborg è mutuabile in questo caso? haraway è molto cauta con l'utilizzo selvaggio della terminologia da lei creata (e lo sarei anche io se avessi creato una cosa del genere con così tanto dettaglio) ma di fatto un approccio basato sulle affinità e non sulle differenze, una visione liminale dei processi e degli oggetti dell'arte mi sembrano appropriati in questo caso. non solo ma anche un approccio femminista alle dinamiche tardo-capitalstiche di produzione culturale ci potrebbe aiutare, un approccio il più possibile intersezionale, affine ed incluso, che critichi lo schema produttivo dominante è, per quanto mi riguarda, nel contesto moderno in cui sia immersi, inevitabilmente femminista. anche il feedback, il cortocircuito si ritrova in larga misura nella lettura femminista post-umana, nelle pratiche di demedicalizzazione, nel bio-hacking ecc... nell'esperienza metamorfica di paul b. preciado traspaiono chiaramente gli stessi processi di ricollocamento semantico che abbiamo descritto con un mixer, solo applicati alla terapia ormonale, ai confini ontologici del genere e alle pratiche di determinazione diagnostico-terapeutica del sesso biologico. 

PERO

queste affinità, lo riconosco, vengono trovate perché applichiamo uno schema di pensiero paranoide, nel quale si cerca di connettere più punti possibili sulla mappa creando un'ontologia autoriferita e coerente. sappiamo bene che questo sistema è fallimentare perché un vero modello epistemologico è in grado di sostenersi anche tralasciando dei punti. nonostante questa doverosa precisazione è innegabile che avendo intrapreso una certa strada politica e di pensiero (mi sembra palese), le affinità fra concetti e pensatori, importanti entrambi per chi scrive, emergano spontaneamente. 

fatta questa doverosa premessa la mia posizione rimane invariata: la creazione musicale è aperto territorio di battaglia per spingere i limiti dell'intersezionalità e del femminismo post-umanista verso nuovi stimolanti lidi. le pratiche di resignificazione tecnico-musicale possono essere rilette in chiave transfemminista e cyborg. 
per rimanere in tema di pensiero paranoide potremmo comunque cedere su alcuni punti: non dobbiamo inevitabilmente includere tutto all'interno di un macro-cosmo transfemminista. non sarebbe nemmeno corretto e scadremmo forse in sussunzioni non richieste. il tema della riproducibilità e della proprietà intellettuale è, per esempio, qualcosa che non spontaneamente correla con le tematiche transfemministe. il punto però, come già detto, non è collegare tutti i punti senza lasciarne fuori nessuno ma utilizzare la visione critica femminista per problematicizzare le dinamiche di produzione musicale contemporanee. 

post redatto parzialmente sotto la illuminante guida di