domenica 5 maggio 2019

Astral Colonels - Good Times in the End Times


Torno molto volentieri, anche se in tremendo ritardo, a parlare di Tricoli e di un'illustre collaborazione che, colpevolmente, avevo dimenticato nel lavoro di monografia pubblicato qualche tempo fa. La collaborazione elettroacustica/free/avanguardia a cui siamo solitamente abituati è in questo caso leggermente più strutturata: non si tratta di accostare due nomi&cognomi e nominare le tracce con numeri e lettere progressive (autocit), ma creare un vero e proprio unicum musicale sotto il nome di Astral Colonels (che questo preveda future collaborazioni?). Va bene, un unicum. Ma nella pratica di chi stiamo parlando? In questo caso sarebbe quasi preferibile mantenere il dubbio, perché nominare il protagonista, oltre a Tricoli, significa automaticamente scoperchiare un vaso di Pandora dai fumosi limiti. Noi lo facciamo comunque, for the sake of informazione. Antony Pateras. Neanche io, che si suppone debba parlare di lui e citare i parallelismi fra i lavori passati e questo in particolare, so granché del personaggio, figuriamoci una persona assolutamente digiuna di musica come la si intende in questa sede. Per venirci incontro vi pubblico alcuni sintetici riferimenti, tutti tratti dal sito personale di Pateras, dove potete anche seguire i suoi viaggi ed esperienze musicali. Ecco la biografia striminzita: Anthony Pateras (b.1979) is an Australian composer/performer whose current work focuses on electro-acoustic orchestration, temporal hallucination and sound phenomena. Pateras has created over 75 works, receiving performances from the Los Angeles Philharmonic, Australian Chamber Orchestra and BBC Symphony, commissions from the GRM, Slagwerk Den Haag and Südwestrundfunk Baden-Baden, residencies from ZKM, Akademie Schloss Solitude and La Becque, and fellowships from Creative Victoria, the Ian Potter and Sydney Myer Foundations. He has released over 40 albums including collaborations with Mike Patton, Chris Abrahams and Valerio Tricoli, guested on records by Oren Ambarchi, Sunn O))) and Fennesz, as well as working in film with director Pia Borg, producer François Tetaz and literary critic Sylvère Lotringer. Aside from solo concerts, Pateras currently performs with eRikm, Jérôme Noetinger and North of North. Giusto per farci un'idea delle collaborazioni e dello spessore artistico che, come Tricoli, caratterizza il personaggio. Sul sito potete anche trovare una corposa biografia in formato pdf.
Di Tricoli sappiamo molto, anche se non tutto. Se volete chiarirvi le idee prima di affrontare questo disco potete fare qualche passo indietro (con tanti auguri) e ripescare la (tentativo di) monografia scritto su questo blog. 

Il disco è strutturato in tre parti/movimenti/brani, i primi due della durata di 13.00 minuti mentre l'ultima di 10.00 minuti circa. Affrontare l'opera è indubbiamente complesso perché gli strumenti, le tecniche, i materiali e i contenuti sono spesso inestricabili, fusi gli uni con gli altri e, sopratutto, innumerevoli. Penso per esempio alla comunione ipnagogica di Harpsichord, organo e piano preparato, il tutto riverberato e rivoltato, che troviamo nella terza parte e che, per quanto la forma rimandi a qualcosa di soave e votivo, la sovrapposizione dei contenuti stravolge questa idea, virando verso una sensazione di obliqua negatività. Quando il tutto poi si perde in un mare di drone la potenza dei due si sprigiona definitivamente, maestosa, per poi ripiombare in un delirio melodico indefinito (frutto di un uso impropriamente delizioso dell'organo (credo)). Quest'altalenante approccio a forma e contenuto e anche alla separazione drastica dei due (come l'uso della voce di Tricoli, su cui torneremo dopo) è una caratteristica non solo di questo disco ma, come siamo ormai abituati a sapere, anche di questo tipo di musica di confine. Proseguendo sulla terza traccia la melodia ha ceduto il passo ad un drone ad alte frequenze, prodotto da strumenti e sintetizzatori leggermente scordati gli uni con gli altri, per creare questa immagine d'organo quasi "blasfema", con l'utilizzo repentino di intervalli minori e sovrapposizioni melodiche distanti dalla "forma" di presentazione. Mi pare però che il contributo di Tricoli, in questa terza traccia, sia minore rispetto a quello di Pateras; o forse il mio è un errore dettato dal fatto che nelle rimanenti tracce, il siciliano è decisamente più evidente. 
Il secondo brano si apre con una cacofonia di samples, microsuoni Revox e rumori di Doepferiana memoria in un crescendo che si sfracella nel silenzio e nel drone elettronico a bassa frequenza. Dal magma nero riemergono piccoli dettagli, statica e una voce frammentata. L'uso del verbo da parte di Tricoli merita una sottolineatura, anche personale visti i miei recenti interessi in questo campo: sempre nel solco tracciato dal discorso sulla separazione fra forma e contenuto, è ovvio che il significato di quanto Tricoli dice non è di umana comprensione (o comunque non immediata) ma è proprio questo il punto. La sua voce viene costantemente manipolata, frammentata e distorta dalle tecniche e dagli strumenti dei due perdendo il contenuto e trasformando la forma in qualcosa che possa essere facilmente utilizzato come materiale sonoro. Stessa cosa vale per le vocalizzazioni come respiri, rumori ecc... In realtà questa è una semplificazione perché non si tratta di svuotare la voce dal suo senso di "essere voce" ma di donarle una nuova veste, una nuova dignità, specifica per il contesto a cui ci si riferisce. Senza dilungarci troppo sul tema (probabilmente farò un post specifico visto il mio interesse) torniamo alla seconda traccia. Anche qui esiste una progressione sinusoidale dell'intensità: dopo il silenzio iniziale i due costruiscono una babele di frammenti sempre più concentrati, inframezzando rumori, microsuoni e debris analogico con spettri vocali che si aggirano per l'immagine stereo, costringendo l'ascoltatore ad un certosino lavoro di riconoscimento di cosa sia reale e cosa no. Tutte le parole spese su Tricoli e sul ragionamento dei suoni posti oltre il reale, come fantasmi o "ombre" della memoria, qua ritorna in maniera urgente, esaltato dal lavoro di Pateras che direi, possedendo ovviamente un altro tipo di sensibilità, si colloca tutto attorno, riempie gli spazi, dona anche una certa intensità concreta alle astrazioni magnetiche. A volte anche troppo concreta, come accade nel momento forse più intenso del disco: dopo il corpus della seconda traccia, in cui si ascolta un dialogo spettrale fra i due, con ampio e intelligente uso dell'immagine stereo, perso poi nel silenzio, comincia una cavalcata "quasi" ritmica che, all'improvviso, si interrompe per poi letteralmente esplodere in quel "shimmering diamond refracting omni-directional compositional potential". Tutti gli strumenti rimbalzano gli uni sugli altri costringendo l'ascolto ad una frammentazione, non sapendo l'orecchio cosa seguire, su cosa concentrarsi (la tomba del Deep Listening). Come se l'energia dei due si fosse prosciugata in questo titanico sforzo, il resto della traccia è un lamento agonico, punteggiato di tentativi di prevaricazione falliti, rallentamenti magnetici, karpluss-strong e disintegrazioni statiche, parossistici riverberi. La traccia si chiude con il vocalizzo di Tricoli: ultimo respiro o primo vagito sta all'ascoltatore deciderlo.
Concludiamo con la prima traccia, formando un paradossale loop inverso. Fra le tre composizioni è quella che preferisco ma al tempo stesso quella sulla quale mi è più difficile fare un'analisi strutturata. C'è molto Tricoli, non tanto come esteriorità quanto come approccio fantasmatico. Pateras offre delle ritmiche da Glockenspiel (?) molto delicate sulle quali si innestano dei battimenti magnetici di intensità sproporzionata che stravolgono (positivamente) la narrazione. Grandi spazi di silenzio condiscono il tutto facendo emergere i dettagli microscopici, in un lavoro di intaglio notevole. In alcuni passaggi appare anche la voce, come sempre spettrale più che semantica. Il riverbero, dosato con sapienza, produce un'irreale idea di spazialità, confermata in un finale fuori fuoco in cui tutti gli elementi si fondono in un'unica, proteiforme, massa sonora.
Forse è in questa ultima-ma-prima traccia il vero senso del disco, questo approccio duale alla composizione, un po' Tricoli, un po' Pateras, ritornando sul discorso forma-contenuto. C'è una sorta di asimmetria, anche di intenti, fra le due personalità. La massa sonora di cui si accennava prima non è uniforme, sferica, ma presenta degli innesti artificiali rappresentati dalla melodia frammentata prodotta dall'organo (o quello che è insomma). Anche l'elettronica dell'australiano ha un effetto simile, spezzando la narrazione magnetica di Tricoli e, in alcuni casi, opponendosi fermamente. Stessa cosa, contraria, vale per l'altra metà del duo. Con questo non voglio affermare che ci sia un'incomunicabilità o una divergenza "negativa" quanto piuttosto che l'apparente inconciliabilità, anche semantica di fatto, fra i due, è la base del dialogo, è il contenuto dell'opera, il punto fermo di partenza. La capacità dialettica, in condizioni del genere, che, come apprendiamo dalla descrizione del disco su bandcamp deriva da 7 anni di studio, è un talento (acquisito evidentemente) appannaggio di ben pochi artisti.