sabato 27 agosto 2016

Akira / Ghost in The Shell - OST


Eh si perché credo proprio OST significhi "Original Soundtrack". Vabbé sono cose che ho imparato tipo oggi (o ieri - guardatevi la data di pubblicazione, futuri lettori). L'interesse e la curiosità per le colonne sonore nasce un po' prima, qualche mese fa, con la pubblicazione di uno speciale di Rumore sulle colonne sonore, appunto. Un libercolo (direbbe qualcuno) di incredibile contenuto, che sanciva definitivamente, nella mente del sottoscritto, il binomio "Colonna sonora = magari una bomba", scardinando la convinzione che la relegava solo a sottofondo (che poi dipende, alle volte è vero). Da amante della massima zen che dice Musica >>>>> Film, ho ovviamente preferito quei DISCHI il cui valore prescinde l'associazione con le immagini, pezzi d'arte in grado di vivere e resistere in autonomia, sia perché collage di nevrosi altrui (bon dai tipo "Gummo"), sia perché prodotti della psiche di un singolo. Le robe trattate qui, oggi, fanno parte della seconda categoria. 

AKIRA

Il film d'animazione probabilmente più visto ma meno conosciuto del globo. Il sottoscritto si autoascrive(va) alla categoria di quei superficiali spettatori - amanti estemporanei dell'animazione nipponica che solo citano l'esperienza filmografica e non cartacea, prima ovviamente di leggere e innamorarsi di quella bibbia creata (non riesco ancora a capacitarmi come) da KATSUHIRO OTOMO. Un passo indietro: non si biasima nessuno, ovviamente, le due cose (film e manga) sono decisamente divergenti nei contenuti e nelle intenzioni fino a diventare completamente separate nei risultati. Questo a significare che, nonostante il sottoscritto consigli (VIVAMENTE - QUASI OBBLIGO) la lettura integrale, se non altro per bearsi delle magnifiche tavole a pagina intera, la visione del film è di per sé un'esperienza trascendentale. 
A rendere il film quello che è (un capolavoro) ci pensa in maniera piuttosto convincente anche la colonna sonora. Oggetto di numerosissime revisioni (di fatto la notizia di una nuova edizione integrale, con brani inediti, uscita su "Consequences of Sound" tipo ieri, mi ha spinto a scrivere questi pezzi) noi si discorrerà in realtà di un'edizione a caso di cui dopo scriverò la Soundtrack per potersi orientare meglio, non si sa mai. Inoltre l'immagine qui sopra non credo sia corrispondente (è l'immagine di una delle numerose edizioni). 

"La mente dietro a tutto è quella di Geinoh Yamashirogumi". Allora. Questa è effettivamente la frase che avevo scritto pensando che Geinoh Yamashirogumi fosse REALMENTE una persona. Beh mi sbagliavo, e la faccia che ho fatto quando ho scoperto che era in realtà un COLLETTIVO di tantissime persone dedito alle arti beh, potete immaginarla facilmente. Un collettivo sì. Stando a ciò che dice wiki (e vabbè per stavolta) un gruppo di persone fondato nel 1974 e creatore di alcune piccole rivoluzioni nel mondo musicale giapponese: parliamo di connubi fra tradizione e sintesi, creazione di pattern midi per la gestione della musica tradizionale vocale (è una cosa realmente incredibile) e lo sdoganamento di alcune macchine "futuristiche" per la produzione musicale. Roba incredibile per vero. Il collettivo merita davvero un approfondimento (che faremo, decisamente) ma per the sake of quello che stiamo facendo ora, l'unica cosa che ci interessa è che appunto hanno creato la colonna sonora di Akira, datandola 1988. 

Le suggestioni che si ritrovano nel disco sono realmente il frutto di quanto detto su "Geinoh Yamashirogumi": la tradizione che si fonde con la modernità in brani realmente complessi e stratificati, mai banali, sempre pronti a impennarsi e calmarsi in maniera repentina. 
Le armi usate sono molteplici: strumenti acustici (tradizionalmente rock, tipo la batteria), synth ricercati, no roba da anni 80, drum machines, percussioni tradizionali giapponesi (suono da canna di bambù o similare), organi (reali? sintetizzati?), strumenti a corda, alcune chitarre (mi è parso di capire) e poi le voci. Le voci sono qualcosa di incredibile: passano da registri maschili bassi e carichi di patos a intrecci femminili leggiadri, litanie riverberate, frasi stentate e rabbiose, spoken. 

Grossolanamente potrei dividere la Soundtrack in due parti: una rapida, nell'ordine dei 3 minuti a canzone, fatta praticamente solo utilizzando macchine, synth e strumenti moderni. Solo le due "Winds over Neo-Tokyo" e "Doll's Polyphony" (che la dice lunga sul contenuto), rappresentano uno strappo a questa regola, essendo create un po' come riempitivo ambient - meditativo, senza percussioni, stracolme di vocalizzi e landscape di synth. Le altre appartenenti a questo blocco (nell'ordine "Kaneda", "Battle Against Clown", "Mutation" e "Exodus From the Underground Fortress") sono esattamente il frutto di un immaginario scifi ottantiano (ma ricercato) con colate di strumenti tradizionali, percussioni, legni e vocalizzi che, nonostante possa sembrare strano, fanno elevare esponenzialmente la qualità del contenuto. Qui ritorna davvero la mezcla fra sacro e profano, i pattern sono percussivi - ossessivi, colmi di ritmo e loop; pian piano si arricchiscono di soluzioni melodico - vocali, si scontrano con violenze sintetiche, recuperano l'armonizzazione, la riperdono. Esempi perfetti fra i brani citati sono necessariamente "Kaneda" e "Mutation" che rappresentano la summa di quanto detto. In particolare "Mutation" (che si associa a un episodio particolarmente intenso nella sequenza animata) è il brano più forte e riuscito di tutto il gruppo e incarna realmente la visione ibrida del collettivo. Spettacolare. 

Nonostante quanto detto sul blocco più "percussivo - sintetico", sono le canzoni rimanenti, tutte delle durata superiore ai 10 minuti, a rappresentare realmente il film (in particolare le sue parti più incisive e determinanti) ma anche (e forse sopratutto) l'animo rivoluzionario e la grande genialità del collettivo. 
Le canzoni incriminate sono ovviamente meno. Nell'ordine: "Tetsu", "Shohmyoh", "Illusion" e "Requiem". Qui succede l'inaspettato. Laddove lo scontro fra la modernità e la tradizione su terreni rapidi (in termini di bpm proprio) avevo portato dei frutti magnifici ma sperabili, è su sentieri (quasi) inesplorati della sperimentazione sintetico - ambient che "Geinoh Yamashirogumi" caccia un piccolo miracolo. Una canzone come "Tetsu" non può essere definita altrimenti: la sottile melodia quasi da xilofono, i tamburi scandendo lo strano ritmo e poi la cascata di voci ad interrompere tutto solo per un attimo, prima di inserirsi di diritto nella scena e scomparire qualche secondo dopo; il crescendo riproponendo la stessa sequenza, apice, colpo finale e silenzio. 
E poi "Shohmyoh": l'intro caotico, le voci alternandosi in discorsi, parole che si allontano e avvicinano all'ascoltatore. Poi il colpo di tamburo richiama l'ordine, comincia un crescendo mantrico di corrispondenze. Dietro tutto un synth riempie gli spazi. No davvero è magnifico. Fiati anche, sporadici. Il silenzio diventa qua strumento. Le armonizzazione del coro sono spettacolarmente fuse con i solisti. Riverberi. Uno strumento a corda, reso etereo dagli effetti, si inserisce in crescendo, pian piano rubando la scena ai vocalizzi, mai invasivo però, condivisione. Silenzio. E infine l'ultima parte, sempre il mantra ripetitivo, qui associato all'apocalisse di droni di chitarra, tamburi distanti. Il crescendo vocale corre parallelo all'intensità del gemello elettrico, dissonante, alle volte. Silenzio, otra vez.
"Illusion" ha la struttura d'improvvisazione acustico - vocale: un crescendo di voci, strumenti percussivi tradizionali e fiati acuti e dissonanti si intrecciano fino ad un apice. Ed è proprio lì, a 40 secondi dalla fine (canzone da 14 minuti) che avviene qualcosa di magnifico: una specie di post - produzione - registrazione condisce il tutto con un muro di synth distorto e phaserato per creare un mostro violento che spazza via ogni convinzione e ti induce a pensare 

ma scus

La conclusiva "Requiem" è speciale. Accosta le sfumature apocalittiche, quasi industrial, di percussioni e sintesi a vellutati vocalizzi corali, femminili o congiunti, creando il concetto perfetto di requiem moderno (giapponese magari). Non spendo altre parole sulla conclusione per due motivi: l'epifania nell'ascolto è decisiva e secondo magari sarebbe bello ascoltarla (adesso con consapevolezza) guardando il film o)))).

GHOST IN THE SHELL

Ghost in the shell rappresenta un po' un'anomalia nel panorama manga sci - fi nipponico. Il film è del 1995 ma anch'esso risulta tratto da un manga precedente (che non ha avuto un briciolo della sua fortuna nell'entrare nell'immaginario collettivo). Un'anomalia perché, mentre Akira è il paradigma dello sci - fi nipponico, con le sue armi di distruzione di massa, i suoi personaggi potentissimi, poteri oscuri, telecinesi (mancano solo i mecha) Ghost in The Shell è un viaggio oscuro nella visione etico - filosofica della tecnologia, il confine fra uomo e macchina, le domande esistenziali su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e secondo quali principi e limiti. Il manga offre lo spunto e il contesto ma è solo con lo specifico POV di Mamoru Oshii (il regista) che queste tematiche forti escono allo scoperto. 
La narrazione è crepuscolare, grande spazio è lasciato alle sequenze descrittive di una città opprimente, sempre cupa, sempre sull'orlo del collasso. Anche le scene di azione o le aperture più serene (anche di trama) contengono sempre un chiaroscuro, mai completamente felici o risolutive. 

Ed è in tutto questo brodo di negatività e quesiti che si inserisce una colonna sonora perfetta. Molte meno parole dobbiamo e possiamo spendere su questa rispetto a quanto fatto per Akira. Le motivazioni sono varie: innanzitutto è un continuum, non ci sono grandi blocchi e variazioni come nella precedente; inoltre le canzoni sono molto più corte e eteree, senza picchi o apici; infine si rende evidente, sopratutto a chi il film lo conosce, la necessità di un ascolto consapevole assieme alla visione del film, nonostante le suggestioni che la colonna sonora evoca assumano palesemente vita propria. 

Gli strumenti usati sono qua molto più artificiali rispetto a quanto fatto dal collettivo, nonostante un parallelismo con il connubio "sacro - profano" è evidente. Nella (quasi) iniziale "Ghosthack" per esempio, percussioni leggere si incrociano con rumori di strumento a corda, annichilito dalle distorsioni. Nella successiva "Puppetmaster" è un drone vocale ad intrecciarsi con riverberate percussioni, field recording e spettrali synth. Niente è lasciato effettivamente al caso: la musica rimanda alle immagini e viceversa, creando quella sensazione di ineluttabilità descritta prima. Asfissia. La dinamica c'è ma è nascosta benissimo in colate di riverbero e droni il cui aumento di spessore è l'unica cosa che indica un progredire della traccia. 
"Virtual Crime" non è da meno: corde pizzicate nel silenzio più totale che illuminano temporaneamente abissi e vaghi colpi dissonanti. Il finale è un'apertura arpeggiata.
"Nightstalker" spicca per l'utilizzo degli strumenti a corda giapponesi, accompagnati da un synth tutto in minore: il gap rispetto agli altri brani è evidente ma non aspettatevi felicità. Solo melanconia.
Una vaga sensazione di morte imminente accompagna la melodia di "Floating Museum" (e effettivamente guardatevi a cosa è associata nel film), immersa in un tappeto di synth nero pece. 
"Ghostdive" è una stanza vuota con campane e oscurità.

Nonostante sia vero che la divisione in blocchi (come accaduto con Akira) qui risulta essere più difficile in realtà un grossolano spartiacque può essere applicato, non fosse altro per la presenza della componente vocale. I tre "Chants" (nell'ordine "Making of Cyborg", "Ghost City" e "Reincarnation") sono di fatto il fulcro della colonna sonora (e perchè no anche del film a mio parere). La parte strettamente musicale non si discosta da quanto detto prima: percussioni opprimenti, tappeti sintetici sempre oscuri e sfuggenti. I vocalizzi si ripresentano nei tre passaggi praticamente invariati; è invece l'associazione e le soluzione ritmico - melodiche utilizzate che creano una sorta di progressione fra i tre brani. Mano a mano che ci avviciniamo alla conclusione si perde un po' di oscurità ("Making of Cyborg" è forse la canzone più devastante della colonna sonora) e, anche con l'aggiunta di archi (immagino sintetici) si riesce ad intravedere un minimo di luce nella conclusiva "Reincarnation". L'intermedia "Ghost City" è un passaggio melanconico e grigio, triste, associato, nel film, ad una splendida carrellata sulla città fantasma, teatro degli eventi. 

Conclusione: due film, due capolavori per meglio dire, la cui fortuna e riuscita si deve anche (o addirittura sopratutto) ad una colonna sonora visionaria e spettacolare, frutto di visioni d'avanguardia, sperimentazioni e lungimiranti connubi fra ciò che è tradizione e ciò che è (o era al tempo) tecnologia. Imprescindibile (adesso che avete letto le mie parole ahah) la visione consapevole dei film in questione e, magari, di tutti i film la cui colonna sonora meriti menzione e considerazione.