mercoledì 30 ottobre 2019

NIENTEZINE

Sto vivendo delle altalenanti sensazioni di futurabilità: nella fase discendente di questa sensazione mi trovo in un angosciante futuro distopico, nelle fasi più positive in una sorta di immagine positivista in cui i singoli trovano connessioni e condividono esperienze. Probabilmente, come tutte le cose, anche questa risente di un ciclo socio-ecologico che fa sì che, nonostante il disastro totale che circonda e permea le nostre vite, si riesca a trovare dei momenti di perfetta comunione e sincronia. Tutti argomenti che abbiamo sviscerato nel corso di questi mesi, in questa stessa sede. 
Da questo punto di vista ben poche sono le cose da dirci, più che altro ho sentito un'urgenza espressiva, incanalata in questo specifico medio più che in un altro, e ho dovuto mettermi a scrivere. Dall'ultima volta sono successe comunque alcune cose, anche sul piano personale/lavorativo. Ho vissuto alcune esperienze formative che hanno aumentato la mia consapevolezza e capacità di gestire le conoscenze. Sopratutto però ho sperimentato in prima persona l'allargamento degli orizzonti in tema di impro e musicalità in generale. Ho riflettuto sui temi della comunicazione e della partecipazione attiva, condensati poi in un prossimo e futuro massivo utilizzo del QRcode.


Benissimo, il sommario lo abbiamo più o meno fatto. Da dove partire? Direi forse di cominciare, come il titolo suggerisce, dalla mia nuova e timida esperienza editoriale, a.k.a. NIENTEZINE. Per prima cosa il nome è stranamente originale, nel senso che non ho trovato altre zines omonime (per quanto strano, me ne rendo conto). In ogni caso, com'è ovvio. si tratta e tratterà di una pubblicazione rigorosamente free e anti copyright quindi del processo inverso (qualcuno se ne appropria) non me ne potrebbe importare di meno. L'idea mi ronzava nella testa da un po' di tempo: il fascino per la carta stampata, frutto della propria unica e libera creatività (libera?) è qualcosa che mi ha sempre accompagnato. Si ok una zine. Ma per farne cosa? Questa è una domanda tanto fuorviante quanto difficile. Non esiste uno scopo nella mia idea di zine, non ci sono grandi prospettive e numeri editoriali. Semplicemente condividere in maniera libera e più o meno clandestina dei contenuti che vanno dall'arte casalinga, alla saggistica free, alle litografie d'oltre oceano. Il fulcro fondamentale, in cui il discorso sul QR code chiaramente gioca un ruolo parallelo, è la riflessione che sto portando avanti da un po' sulla comunicazione. (visto che la situazione, all'interno del post, sta prendendo una piega impegnata vediamo di fare le cose bene e con calma, addirittura le faremo per punti):
- recentemente mi sono interessato alle tematiche della filosofia del linguaggio. un campo di proporzioni inimmaginabili che comprende letteralmente tutte le correnti di pensiero umano per il semplice fatto che sono intrinsecamente pensate in una lingua, espresse e scritte grazie a parole e segni grafici. Non ho le competenze per entrare in questo campo minato ma alcune cose mi sento di sottolinearle: realtà e pensiero, pensiero e linguaggio sono talmente collegate fra di loro da riuscire ad influenzarsi reciprocamente. Il pensiero è linguaggio e il linguaggio, quando viene utilizzato per descrivere fatti, oggetti, circostanze e contesti, è realtà. Qua la situazione si fa delicata perché, per quanto io mi attenga ad un principio romantico secondo il quale l'uso della lingua e del pensiero sono in grado di cambiare il corso delle cose, la verità è molto più complessa di così e le mie conoscenze non mi permettono un'argomentazione completa. Quando ho letto la "Bibbia Psichica" questa consapevolezza, l'affermazione della pura volontà in grado di cambiare il destino di interi gruppi di persone, mi ha sicuramente affascinato. Per quanto ritenga che un rito o la "magick" siano delle cose molto lontane dall'immaginario fantastico a cui siamo abituati, sono anche convinto che la loro applicabilità materiale sia non solo possibile ma passi attraverso i processi di pensiero, linguaggio e realtà. L'architettura del nostro pensiero è fatta in questo modo proprio perché siamo in grado di articolare un linguaggio e l'articolazione del linguaggio è frutto della nostra architettura di pensiero. Il linguaggio a sua volta è il modo con cui descriviamo ciò che è reale, ciò che è oggettivabile attraverso i sensi (o meno), esperito e immagazzinato proprio dentro alla nostra architettura mentale. Il passo successivo è intuitivo: chiudere il cerchio significherebbe ammettere la possibilità che linguaggio e processi di pensiero siano in grado di esercitare un feedback sulla realtà. Le nostre azioni sono basate su questo feedback, tutto quello che facciamo che è modulato dalla risposta che l'ambiente ci ritorna, dal mangiare al cagare allo scopare ecc... Il linguaggio non dovrebbe essere un'eccezione ma si colloca ad un livello maggiore sia per la sua potenza semantica, sia per il suo utilizzo sociale.
- a questo punto ci stiamo avvicinando a una declinazione interessante di quanto detto fino ad ora. Il linguaggio ha una potenza di determinazione sociale inimmaginabile. è uno degli strumenti con il potere di riproduzione sociale più elevati perché, come dicevamo prima, crea la realtà. Una parola, il significato che essa trasporta, possono azzerare o magnificare differenze fra esseri umani, possono cancellare o creare abitudini e ritualità. Non possiamo evocare un sasso semplicemente pronunciando la parola che ne veicola il significato (anche se possiamo creare l'immagine del sasso nella mente di chi ascolta e questo, per certi versi è la stessa cosa) ma possiamo benissimo evocare reazioni sociali con frasi o singoli termini. Questo perché la realtà sociale è, appunto, una realtà, un mondo tangibile in cui siamo immersi e che, la maggior parte delle volte, subiamo passivamente. Possiamo, dobbiamo, agirvi attivamente, anche attraverso l'uso del termini e del linguaggio. A questo proposito mi viene in mente la battaglia linguistica per la ri-genderdizzazione delle femministe di nuova generazione (non credo di aver identificato correttamente il movimento ma spero che il significato passi correttamente). Potrebbe sembrare una cosa banale ma in realtà è l'esempio perfetto: è proprio attraverso il linguaggio che la genderdizzazione patriarcale ha (anche) avuto atto. Le differenze discriminatorie sono state oggettivate, sostanzializzate attraverso l'utilizzo della lingua, anche se la loro base era di tipo biologico. Oltre al tema femminista potremmo citare l'educazione (altra fabbrica di riproduzione sociale inconsapevole), le scienze sociali (anche se per prime hanno rivolto internamente il proprio occhio critico e riflettuto molto proficuamente su questi temi), la politica ecc...
- ho perso il filo del discorso
- tutto questo cosa a che fare con la zine o con questo blog? In realtà tutto e niente. Tutto a che a vedere con il linguaggio e la comunicazione e prescindere da questi mezzi è impossibile. Possiamo però esserne consapevoli e attivamente spingere verso un certo tipo di realtà piuttosto che un'altra. In questo senso è affascinante ripensare a Fisher e alla sua iperstizione, una narrazione culturale impiantata nel futuro che, viaggiando nel tempo, influisce sulla propria autorealizzazione. Se teniamo questa descrizione quando lottiamo per il femminismo, attivismo politico, ecologico, sociale, musicale ecc... subito le forze ritornano e ci sentiamo come rinvigoriti. Perché? Perché stiamo esercitando una funzione che, a detto dello stesso Fisher ma facilmente condivisibile, è atrofizzata nella nostra società, quella di immaginare il futuro, spingere i limiti della creatività per provare a ribaltare il telo del reale e vedere cosa potrebbe esserci dietro. Questo processo di immaginazione è imprescindibile dal linguaggio. Inoltre sono affascinato da quei movimenti di lotta che, nel tentativo più o meno riuscito, di ottenere le loro richieste sono riusciti a creare una narrazione culturale, una mitologia, un filo del discorso per spiegare la loro condizione, alle volte glorificando il passato ma, sopratutto, rivendicando fortemente un'idea di futuro senza diseguaglianze. Mi riferisco all'afrofuturismo quando parlo di narrazione politicizzata e di lotta e all'universo cyberpunk in un discorso più generale (sempre impegnato ma con contesti e tematiche leggermente diversi, anzi, che potremmo ritenere gerarchicamente più comprensivi). La narrazione non deve necessariamente corrispondere con mitologia però: non credo sia necessario utilizzare il linguaggio strutturato per descrivere passato e glorioso futuro della rete sociale in cui sono inserito. Nell'afrofuturismo esistono numerosi riferimenti ma permane l'idea narrativo/mitologica. A questo preferisco sempre una narrazione, certo, ma frammentata, scomposta in vari medium e pratiche, rizomatica (scusate dovevo) nel suo relazionarsi e compenetrarsi.
- vorrei mettere al centro il concetto di comunità. Per la sua natura semanticamente ambigua, potrebbe quasi definirla un "iperparola". Nonostante ci sia un termine corretto per indicare parole con più significati (parole "polisemiche", grazie U. Eco), questo neologismo, "iperparola", mi piace perché coglie meglio il carattere fluido di comunità, qualcosa che sì può esprimere concetti differenti, ma lo fa sempre compenetrandoli, mai separando. Così comunità di improvvisazione diventa comunità ritualistica o religiosa o filosofica, con o senza uniformità fra i partecipanti. è proprio qui, dentro questo calderone comunitario, che si muove la mia idea di attivismo, azione multipla e frammentata, per poter cogliere gli aspetti cangianti del gruppo. Un po' mi sto rifacendo all'idea di "kin" espresso da Donna Haraway, concetto che non ho la forza di argomentare qui ma che mi ricorda molto il rizoma espresso prima. Comunità è anche (come non potrebbe esserlo) comunicazione e condivisione. Comunicazione e condivisione sono linguaggio come strumenti attivo sulla realtà. Creare kin o creare gruppi, creare parentele inclusive è anche un'azione linguistica.
- possiamo chiudere il cerchio toccando alcuni temi che abbiamo volutamente lasciato da parte. Il già accennato QRcode, cosa c'entra con tutto questo discorso? C'entra in più modi in verità. Per prima cosa è un moderno sistema di comunicazione che è impossibile da comprendere senza un intermediario, una macchina in grado di capire la complessa crittografia di quadratini e dare loro un significato. D'altra parte possiamo benissimo svuotarlo del suo ruolo e lasciarlo così, puro simbolo senza significato, un po' come leggere un ideogramma cinese o giapponese (leggere, a rigore, non è il termine corretto). Come per noi sarebbe impossibile comprendere un ideogramma giapponese senza un traduttore, così è impossibile per un essere umano arrivare al contenuto del QRcode senza un processo di decodifica. Tutto questo è affascinante perché, non potendo umanamente svolgere i calcoli che conducono al significato dell'immagine possiamo benissimo trattarla come tale, senza necessariamente ipotizzare un qualche tipo di semantica (nell'ideogramma possiamo ipoteticamente risolvere il problema imparando il suo significato). Trattando l'immagine come tale entriamo non più nella semantica ma nella pura estetica visiva, una cosa che nemmeno l'arte contemporanea/moderna può fare con facilità. In questo caso non c'è letteralmente alcun significato. Sintetizzando il primo punto, del QRcode tende ad affascinarmi questa funzione in potenza che, se non utilizzata, diventa pura immagine. L'altro motivo per il quale l'insieme di quadratini e pixel c'entra con questo discorso, è il fatto che presuppone uno sforzo interpretativo da parte del lettore, di chi riceve l'informazione. Non è la stessa cosa che leggere dopo aver imparato una lingua, ovviamente, è piuttosto raggiungere una stanza dopo aver percorso un'anticamera, come aprire due porte invece che una. Effettivamente sforzo non è corretto, ha un carattere troppo negativo. In questo caso l'azione di aprire la porta in più è essa stessa il contenuto comunicativo, anzi, non è né forma, o significante, (il QRcode) né contenuto, o significato, (quello che il programma decodifica) ma qualcosa, di cui non conosco il nome, posto a metà fra i due. Capite bene come possa una cosa del genere possa affascinarmi. Inoltre è facile da usare, stampare, modificare e inserire in vari tipi di contesti (guerriglia urbana adesiva). Un discorso molto simile ma legato più al punto sulla comunità, va fatto per la zine. L'editoria libera mi ha sempre affascinato non tanto per la "libertà di contenuti" quanto per le modalità di distribuzione. Intrinsecamente è locale o, come ho con gioia appreso da "Xenofemminismo", "mesopolico", ovvero una pratica che si colloca fra l'attivismo comunitario ultralocale e la sfera macropolitica stato-globale. Possiede all'interno dinamiche per certi versi "solitarie", da monologo nel suo materializzare la creatività del singolo (ma su questo punto torneremo) e contemporaneamente il suo "donarsi", "concedersi" agli altri è profondamente altruistico anzi, ontologico quando parliamo di zine (l'essenza stessa di una zine è composta da queste caratteristiche). Poi se consideriamo le nuove forme di distribuzione il discorso si parcellizza e diventa difficile seguirlo in modo univoco in questa sede anche se, contemporaneamente, si fa molto entusiasmante in un'ottica di condivisione. Gli strumenti informatico/multimediali che abbiamo a disposizione, per quanto più o meno necessariamente sfuggano al nostro controllo diretto, ci permettono (o permetterebbero, più propriamente) una capacità di reale condivisione illimitata. Essendo di fatto astratti e basandosi su di un host fisico, una macchina, concettualmente sproporzionato rispetto al prodotto finale, dovrebbero spingerci a ristabilire le logiche economiche che riguardano questi temi, orientandole più verso uno scambio fra pari. Abbiamo già parlato di questi argomenti ma vorrei spiegarmi meglio: visto che molto di quello che facciamo in campo artistico ma anche in campo editoriale o informativo, si base su una macchina, oggetto fisico, limitato alla realtà concreta e alle sue leggi (anche) di scambio economico, dovremmo cominciare a separare le due cose, destinando al prodotto del lavoro informatico (sia esso artistico ecc...) una logica di scambio differente da quella che regola un oggetto fisico. Di fatto è un discorso identico a quello che sviluppato attorno alla differenza fra proprietà fisica (beni tangibili) e proprietà intellettuale (che comprende le opere d'arte per esempio). Ciò che noi, attraverso e grazie degli strumenti capaci di astrazioni notevoli, come un computer, immettiamo in un complesso sistema di scambio di informazioni (la rete, sia essa locale, globale o mesopolitica) dovrebbe essere regolato da altro rispetto alla domanda/offerta, per esempio. Da qui in poi per me la questione è irraggiungibile, non avendo gli strumenti per decodificarla, però il semplice inserire materiale in un rete senza orientare quest'atto al profitto, mi sembra già un buon passo avanti. Il formato zine, inoltre, mi permette di inserire in maniera molto facile il tema della collaborazione: basta richiedere ad artist* interessat* dei loro lavori per inserirli all'interno del numero successivo, creando una rete virtuosa di compenetrazione. Lo scambio ovviamente non deve essere solamente artistico ma anche filosofico o di saggi legati a tematiche particolari.


Il primo numero di Nientezine ha avuto un approccio molto "acerbo" per così dire, di fatto è stato un tentativo (direi esteticamente riuscito per i miei gusti). Si è trattato di un A3 variamente ripiegato fino all'ottenimento di un libretto di 8 pagine su cui sono stati preparati, dal sottoscritto, alcuni collage digitali con sostituzione di volti di annuari americani. La particolare conformazione dell'opuscolo, inoltre, mi ha permesso di lasciare un'intera faccia dell'A3 completamente vuota, accessibile svolgendo le varie pieghe (ovviamente reversibili)[la grafica scelta ve la lascio scoprire in autonomia]. Per i più curiosi trovate tutto il materiale (pdf, singole pagine sotto forma di immagini ecc...) proprio qui . Il link fornito rimanda a una cartella generica "NIENTEZINE" in cui ritengo verosimile verranno caricati tutti i file relativi a tutte le uscite future. Anche "Drive" (non Drive in sé proprietà google ma il sistema di condivisione "mesopolitico") merita una digressione sovrapponibile a quella fatta per lo strumento "zine". Di fatto è qualcosa che si avvicina molto allo scambio peer-to-peer nel senso che necessita una certa "intimità" informatica per potervi accedere. Forse è solo una mia impressione ma i mezzi di scambio di informazioni che tendono ad essere più specifici, attivi e personalizzati, mi danno sempre una piacevole sensazione di significanza, decisamente maggiore rispetto ad un post su un social network, diluito in un mare di altri. Tendo a dare un'importanza maggiore a notizie e informazioni che mi giungono direttamente, attivamente, attraverso un canale focalizzato come potrebbe essere una newsletter o un archivio Drive. Probabilmente è anche dovuto al fatto che, nonostante quelle che io chiamo "virtuose" pratiche informative siano molto simili ad una condannabile logica da impersonalità social, le piccole differenze che le discostano dalla media vengono magnificate positivamente.
Ci tengo anche a dare il merito di tutto questo entusiasmo editoriale a "COda fanzine", un progetto indipendente dalla cadenza variabile (varie durante il corso del mese solitamente) del quale potete conoscere qualcosa di più proprio qui . Io ne sono venuto in contatto durante una serata di noise e malessere nella bassa friulana. Il curatore di questo gioiello è Eugenio Luciano, un artista realmente eclettico, nomade fra Svezia, Italia, Regno Unito (ora) che al tempo girava un po' la penisola proponendo questo densissimo drone prodotto con uno strumentino modulare autocostruito (letale). La sua attitudine DIY è stata anche la base per lo sviluppo di NIENTEZINE che, come COda, ritiene fondamentale la diffusione e la stampa autonoma da parte di chiunque ne globo.  Il formato è diverso (molto affascinante quello di COda) ma la filosofia portante è comune. Ah! COda è pure una distro!!


Ok. Direi che per questo post gli argomenti di conversazione sono stati molti, e anche il materiale reperibile attraverso link direi che è vario. Il tema del linguaggio e del significato è qualche cosa che approfondirò in futuro, sento una forza sconosciuta che mi ci attrae. In questo periodo ho riflettuto molto su ciò che fa dell'arte che esprimo la "mia" arte e non ho trovato una risposta univoca, nonostante sia convinto dell'esistenza di un qualche legame di appartenenza. Nonostante questo stento ancora a intravedere una solida chiave di lettura con la quale decodificare e rendere personale ciò che faccio, oltre a permettermi di comprenderlo! Anche nel campo dell'improvvisazione mi trovo spesso a discutere con le persone che incontro e, nonostante sia in grado argomentare sempre meglio e su di un piano sempre più fra l'astratto e il personale, sento che manca qualcosa, una sorta di approccio filosofico solido a quanto faccio. Esiste la possibilità che questo approccio non sia raggiungibile e la accetto con consapevolezza, tuttavia non credo di essere in cima alla montagna senza essermene accorto. Quello che mi interessa maggiormente è il campo semiologico/semiotico dell'atto artistico/comunicativo. Cosa significa quello che sto facendo? Un'atto artistico è un simbolo? Veicola un messaggio? Lo veicola solo quando presenta una struttura decodificata dalla tradizione, quando l'ascoltatore possiede gli strumenti cognitivi per poterlo comprendere? E quando né ascoltatore né musicista sono in grado di prevedere l'andamento della performance, possiamo ancora parlare di atto comunicativo? Oppure è pura estetica, come nel QRcode? E se si tratta di pura estetica tutti i fini rimandi e sincronicità che animano un'improvvisazione cosa diventano? Sono domande che mi pongo sempre quando improvviso, dal primo all'ultimo secondo. Sono le domande che mi spingono a reagire all'altro e, contemporaneamente, ad ascoltarlo. Ma ovviamente non basta, non mi sazio semplicemente nel raccogliere dati e impressioni, io voglio sapere cosa sta oltre il gesto, oltre il suono, voglio capire se è una rete di relazioni a tenere in piedi la magia del momento oppure se esistono ulteriori o paralleli livelli di significato in cui perdersi.
Forse questo è il punto cruciale di tutti i miei discorsi, è da qui che possiamo tracciare linee di collegamento con arte visiva, impro musicale, scrittura, perfomance varie ecc... è nella ricerca delle relazioni di significato che si cela il motore di quanto faccio sempre. Per questo sono affascinato da cose che non veicolano un significato, perché, come nei migliori esperimenti biologici, per capire il funzionamento di qualche sistema bisogna guardare l'interno organismo quando ne è privo, per studiare le modifiche apportate dalla sua assenza.
Oltre a questo non dimentichiamoci dell'impegno politico che per me rappresenta una caratteristica fondamentale dell'attività artistica, due facce della stessa medaglia. Come abbiamo accennato prima linguaggio, arte e significato possono, almeno per quanto mi riguarda, fare breccia nel realismo sociale e modificarlo in modo positivo o, per lo meno, creare degli strumenti alternativi per poterlo osservare da altre angolazioni (e quindi automaticamente cambiarlo).
Visto che mi sto annoiando da solo direi di chiuderla qua. Fra non molto uscirà il numero #1 di NIENTEZINE, probabilmente meno acerbo, più collaborativo e più discorsivo del precedente.
- Sperabilmente il contributo artistico/visivo sarà completamente esterno, con artist* d'oltreoceano (non vi dico nulla per non rovinare la sorpresa). Mentre scrivevo quest'ultima frase mi è venuto l'irresistibile desiderio di partecipare anche io con qualche collage, quindi per ora non metto la mano sul fuoco per nessuna delle due possibilità.
- Ci sarà una parte discorsivo/"saggistica" (ahaha). Un primo tentativo di Zine, datato qualche mese fa e mai pubblicato (il formato era leggermente più ambizioso, con pagine A4 rilegate in un secondo momento) vedeva addirittura la presenza di un mio racconto fortemente influenzato dalla scrittura di Murakami. Nella nuova idea saranno probabilmente presenti alcuni brani tratti da letture recenti (Xenofem, parti del manifesto di Laboria Cuboniks, Cage, saggistica AntiCopyright, scritti sull'improvvisazione, brani di filosofia più o meno recente ecc...).
- Manterrò sicuramente l'idea del post sul retro, per rendere giustizia a grafiche particolarmente suggestive. Ecco, una volta pubblicato (con il corredo di file su Drive) potremmo fare un post apposito per la presentazione degli artisti invitati e per l'approfondimento sulle tematiche più discorsive. Uoooo!! Già vedo la multimedialità: la carta stampata che rimanda, sicuramente attraverso QRcode, direttamente ad un post di questo blog!!

Vabbè, tutte congetture che affronteremo [...] . Ci vediamo nel futuro.