domenica 17 dicembre 2017

EH?! (Parte 2)


Non mi è mai piaciuto il termine "basito" però mi rendo conto di doverlo utilizzare in questo frangente, perché lo sono eccome. Apro la seconda parte del "primo post del nuovo corso" con una piccolissima riflessione: mi sono perso. No davvero, mi sono smarrito dentro i contenuti. Ho appena letto una recensione di un disco degli "Ehnarhre" (ATOMICO lo sto ascoltando ora) su una delle zine ((?) di musica altra che più mi affascinano ovvero questa pensando "ma che bombetta, mi sento addirittura frustrato per perché ci sono miliardi di gruppi che ancora non conosco" per poi scorrere la home di face e trovarmeli in primo piano fra i "mi piace" (probabilmente di vecchia data). E allora dio ladro mi frustro ancora di più perché qualche volta mi sento

OBERATO

Si volevo utilizzare questo termine. Comunque dio di dio il disco degli "Ehnahre" veramente una roba paurosa. Rumorismo, jazzate, droni, doom metal e colate laviche di malessere cosmico. Una roba perfetta insomma. Ve lo metto qui fra le righe così potete trastullarvi anche voi .

Ok. Super, stupendevole, alfanumerico. La seconda parte quindi vuole verosimilmente continuare il discorso della prima. Voglio seguire con quanto concerne la mia specifica produzione musicale ma voglio introdurvi degli aspetti di multimedialità. In parole povere la parte video comincia ad essere decisamente pressante nel modo con cui intendo una "performance" o semplicemente una produzione artistica. Per farvi un esempio banale, quando faccio le mie storie o i miei droni, ho preso l'abitudine di lasciar scorrere, in una televisione a tubo catodico, le immagini di qualche film (ultimamente pulp fiction) creando una sorta di distorta colonna sonora alternativa per film muto, che muto non è.

L'esperienza totale nella performarce (anche solitaria) è decisamente fondamentale. L'ho capito di recente, grazie ad un festival organizzato da un gruppo di figure mitologiche dell'FVG, note assieme sotto il nome "Hybrida". Ex circolo arci, in esilio per tutta una serie di spiacevoli eventi, continua, senza arrendersi, a cacciare bombe incredibili sulla regione e vicinanze Slovene e Austriache. I componenti di Hybrida hanno vissuto praticamente qualunque cosa valga la pena raccontare in musica, con un bagaglio culturale e umano immenso. Nel mese di Ottobre (in parte novembre) 2017 sono stati protagonisti organizzativi di un festival di arti e musiche elettroniche chiamato "Forma" (l'ottavo appuntamento del contenitore "Free Music Impulse"). Vi metto giusto il volantino, scannerizzato per l'occasione, così potete rifarvi gli occhi.


Ho assistito a molte delle serate proposte. Purtroppo non ho partecipato a nessuno dei workshop in programma (mangiandomi le mani dopo aver visto i contenuti (gli artisti che si esibivano durante le serate tenevo i laboratori durante il pomeriggio del giorno stesso)). Il festival era completamente incentrato sul binomio Audio/visivo, una cosa che in precedente mi sembrava quasi banale. Nella mia vita passata, anche quando era il mio stesso gruppo a proporlo, l'utilizzo del visual come fattore aggiunto era sempre gravato da un alone di banalità. di già visto, di già fatto. Certo, aggiungeva qualcosa di diverso al tutto, una nuova dimensione dell'esperienza, ma finiva tutto lì, una nuova dimensione bidimensionale, profonda come una pozzanghera.
Non tutti gli artisti in programma hanno generato epifanie nel sottoscritto. E non tutti gli artisti in programma avevano realmente una performance audio/visiva preparata ad hoc. In alcuni casi il collettivo organizzatore (che porta in giro da un bel po' di anni la sua performance fatta di videoproiezioni statico/dinamiche con diapositive e aggeggi digitali (ho visto cose fatte da loro che sorpassano l'umana comprensione)) è venuto in aiuto con alcune immagini di riempimento, molto suggestive ma decisamente slegate, sopratutto se paragonate alle performance REALMENTE audio/video. Non voglio dilungarmi tantissimo perché, andando la stesura di questo post un po' a singhiozzo, ho perennemente voglia di parlare di altre cose. Ci tengo però a sottolineare (e a entralazar adeguatamente) che ho visto i DIVUS dal vivo, uno dei miei progetti moduli/strumento tradizione che più mi avevano fatto rizzare il micropene nel mesi passati. Eccoli qua.


Inoltre riprendendo i discorso dell'audio video vincente, sicuramente l'apice è stato toccato durante l'ultima serata della rassegna (e ci mancherebbe) da due delle performance più incredibili che io abbia mai visto in tutta la vita mia.
Il premio scoppiatissimi va a mani bassi al duo di anfetaminici Sculpture che una roba del genere te la sogni per la settimana successiva ed è ovvio che poi uno si prende bene con le svarionate analogiche. Nonostante la precedente frase sia completamente sgrammaticata, basta osservare questo.

Che ok, non è esattamente costruito sopra la performance audio e viceversa, tuttavia la genialità POP del tutto è talmente irresistibile che secondo me vincono con distacco. In più considerate che quando li ho visti io sono stati addirittura più colorati, più rapidi, più precisi, più anfetaminici. e questo li fa salire sul primo posto del podio. Aver assistito a questa performance ha fatto scattare in me qualcosa, un sentimento visivo sopito ma anche un certo avvicinamento (maggiore) all'etica DIY.

Tutte queste cose (riprendendo la scrittura del post dopo molto tempo, e accorgendomi di una necessità di sintesi) mi hanno fatto percepire la necessità di esplorare nuovi contenuti, nuovi orizzonti per la mia produzione solista.
Il mio set si è ora ridotto all'osso:
-Moduli eurorack
-Un mixer no.input, mandato in feedback
-Un tascam DR100 mkii per le registrazione sul momento (me stesso) oppure per i vari field recording

Devo dire che tutta la parte video è stata momentaneamente accantonata per lasciare spazio ad una più prolifica attività collages. Ve ne metto alcuni così possiamo farci assieme una bella idea


Uomo con il garofano


Schifo di merda

Ora che abbiamo messo sul tavolo tutte le carte, possiamo approfondire un po' i concetti. Il lavoro video che tanto ho decantato nella prima parte esiste ancora, ovviamente: sto sperimentando alcuni progetti un po' più a rilento. Mi sono però reso conto che la suddetta parte la sento molto meno come mia. Proprio una sensazione istintiva. Quando una cosa mi piace, quando riesco a penetrarvi e a appropriarmene, sono automaticamente molto prolifico, mi impegno, produco. La questione dei collages non sta a me definirla buona o cattiva, sicuramente è qualcosa in cui riesco a immergermi e a sfruttarla, al limite della convulsione. Detto questo è anche vero che la parte visuale "statica" del collages, ben si adatta a tutta una serie di piccole idee che mi frullano in testa e che sto progressivamente selezionando come "vincenti". Per esempio una serie di releases in cassetta sarebbero naturalmente collegate con la produzione di collages e "portadas" ad hoc. Un'altra idea che mi frulla è la realizzazione di una Zine, una cosa facile, rapida, Hc, una di quelle que te mancha los dedos, giusto per parlare chiaramente. Un zine da poter lanciare per strada e regalare a tutti. Un oggetto che è più un soddisfare un'urgenza che una reale fonte di guadagno o di contenuti eccelsi. Un modo per poter dire alla comunità: "Guardati dio cane". Un pugno al quotidiano tipo.

Qui veniamo all'ultimo dei temi che vorrei trattare, prima di esplodere tutto quello che abbiamo messo sul tavolo in altrettanti post, separati ed ordinati. 
Il field recording come sovvertimento della quotidianità. Complice anche un libro che ho (appena) cominciato a leggere e che narra le vicissitudini cronologiche della sound art, ho dato nome e forma ad un'epifania che in realtà mi perseguita già da molto tempo.
Il suono è una sovracategoria di cui la Musica fa parte (e fin qua non ci piove). Musica è il nome che il processo antropo-socio-culturale ha dato ad un insieme di suoni codificati. E anche qua non ci piove. Ma, almeno da quello che l'autore dice nel libro, fino alla metà del 1900 la musica, intesa come brano, suite, pieza, opera o quel che cazzo volete, era il solo oggetto della fruizione da parte del pubblico. La dicotomia musica - ascoltatore era assoluta, stringente e monolitica, declinata poi in una miriade di altre visioni ma sempre unitaria e direzionale. Senza dilungarmi troppo, quello che è successo con Cage, Musique Concrete e gruppo Ongaku (sempre secondo l'autore e sempre per sintetizzare) è stato un epocale processo di spostamento dell'attenzione dicotomica. Il "conoscere" una musica, esperirla, si è ampliato al concetto di suono, anche dal punto di vista tecnico (Musique Concrete"), l'esecutore ha cominciato ad espandere i limiti dettati dall'ordine naturale delle cose e a trasformare un concerto in una performance o anti-performance (gruppo Ongaku) ed infine l'ascoltatore è diventato l'oggetto stesso dell'ascolto, creando una cortocircuito che ha distrutto i limiti del possibile e generato automaticamente il concetto di Sound Art e Arte sonora concettuale (Cage sopratutto). 

So che l'entusiasmo che sto sperimentando in questo momento è qualcosa che molti hanno vissuto e che le cose tendono a ridimensionarsi abbastanza facilmente, però concedetemi questa epifania. Io vengo da un percorso musicale molto "sudato" e vissuto. Il concetto, il contenuto, il messaggio, sono cose che la maturità mi ha elargito ma che ho bisogno di tempo per poter metabolizzare.
Preso da uno slancio naive, ho provato a esplorare alcune di queste illustri ipotesi vagliando i vari strumenti a disposizione e ho trovato nel field recording quello più congeniale e più affine ai miei gusti e scopi. Il field recording rappresenta per me la rottura della dicotomia ascoltatore - oggetto e permette a chi ascolta di immedesimarsi in una situazione lontanissima dalla sua esperienza. Permette inoltre di esplorare un sound design "analogico", basato su fatti e agenti assolutamente reali (anche se modificati successivamente). 

Ma sopratutto permette l'introduzione di una variabile in più, lo spazio. In un certo senso ho incluso direttamente quel tanto agognato desiderio visuale direttamente in musica, senza passare dal via. Il field recording è un'immagine, una visione proiettata nello spazio e nel tempo, una quadri dimensione cangiante, piena di eventi che si possono più o meno sviluppare. Semplicemente è una storia, con i suoi personaggi e le sue vicende. Non ho mai trovato nessun tipo di contenuto musicale che mi potesse dare questo tipo di emozione "concettuale" facendolo e sviluppandolo. La cosa che però veramente segna un punto di rottura completo con il resto è la dimensione socio - culturale che il field recording permette di raggiungere (e aggiungere). Una cosa che potresti fare anche con altri tipo di medium aggiungendo una descrizione o esplicitando i tuoi intenti, con il field recording è già intrinsecamente contenuta all'interno, ne è uno dei pilastri fondamentali. Questo mi ha permesso, in tempo recentissimi, di provare un'emozione indescrivibile facendo questo


Una semplice registrazione panoramica della mia città, imbevuta di un forte senso critico nei confronti di scelte culturali perpetrate da anni e assolutamente deleterie (troppo lunga da spiegare). La dimensione politico - critica non sarebbe assolutamente stata possibile senza un field recording. Sarebbe addirittura risultato tutto stucchevole e falso, s avessi fatto una traccia harsh noise con una lunga didascalia di merda a corredo. Mi sarei sentito ridicolo (più di quello che mi sento avendo fatto quest'altro lavoro). Ovviamente non si tratta una cosa tecnicamente perfetta, anche per una cosa lofi. Rappresenta però un'altra epifania, un modo che ho per comunicare con una comunità da cui mi sono per troppo tempo (e volutamente) separato con dolore e rabbia. Non voglio riallacciare per immergermi passivamente però.
Ho capito che alcune scelte della vita sono necessarie anche se sbagliate. O meglio che da scelte sbagliate uno può ricavare un insegnamento anche se l'errore è profondo e indelebile. Una possibile declinazione dei miei errori la leggo come l'acquisizione di uno spirito critico utile e attivo, un'arma che mi permette di ragionare e dubitare, nonché di trovare strade espressive oblique, come queste.

Il corso del post ha seguito un'iperbole improbabile e poi si è sfracellato in un punto preciso, dopo aver rotto il cazzo con tutta sta storia della multimedialità etc.. però alla fine chisseneincula dio boia, io scrivo, io decido. Vi lascio con un altro collage. Scrivere questo post ha avuto un piacevole effetto terapeutico.


sì, ne vado molto fiero

martedì 14 novembre 2017

EH?!



Diciamo che un po' di tempo ne è passato. Anche un bel po' di tempo. Mi sono domandato solo ora a che punto del percorso dovrei essere, capire il significato di questo contenitore. Alla fine è solo una sorta di specchio dove guardarsi, leggersi, anche a distanza di tempo. 
Nonostante le perfettamente giustificabili perplessità che nascono dal gestire un blog che nessuno legge, con cui nessuno interagisce, proprio pochi minuti fa è successa una cosa molto strana (in positivo, vi anticipo): ho aperto il blog giusto per togliere un po' la polvere e ho deciso che avrei riletto più che volentieri il mio resoconto del concerto dei GY!BE del 14/11/2015, probabilmente il più bel concerto della mia vita, sperando di trovarci una dettagliata descrizione, scaletta e foto della strumentazione allegate. Invece mi trovo una scarna confessione, due righe in cui (in sintesi) dico che è stato troppo bellissimo per poterne parlare e chiudo augurando a tutti di vivere l'esperienza che ho vissuto io. Mi sono emozionato. No veramente, è stato bello. Ho capito che la scrittura aiuta a depurare il profondo da ciò che lo danneggerebbe (anche le cose che in apparenza sembrano buone, trascendentali) e lo fa come un'immagine in negativo, o come un compito a casa, qualcosa da svolgere e che esorcizza, come un rituale, le paure e il vissuto che abbiamo dentro.

Nei mesi che separano questo scritto dal precedente sono successe una valanga incontenibile di cose, la maggior parte delle quali incredibili. Una piccola parte provanti, al limite della sopportazione. La visione che ho delle esperienze e delle persone è cambiata più o meno radicalmente, il modo con cui affronto le scelte si è plasmato in prospettiva con un futuro un po' più incerto. I percorsi che ho scelto di ingarbugliare hanno rivelato segreti nascosti. Perdersi per ritrovarsi, mai banalità fu così vera.

In sintesi è tutto un casino. PERO c'è un però che vale ogni incertezza. La musica ovviamente. Sono successe innumerevoli cose anche su questo versante e, fortunatamente, non c'è ne è stata nessuna brutta!!! Era comunque immaginabile, la musica è salvifica, non può MAI andare storto qualcosa!

Prima di tutto vorrei tanto condividere con il mio stringatissimo pubblico (probabilmente inesistente) il progetto/gruppo/famiglia di cui faccio parte da ormai quasi 2 annetti. Abbiamo fatto un disco, abbiamo suonato un po' in giro per l'EST (FVG + SLO). Ci vogliamo benissimo e facciamo la musica della mente.
Nome FLUM, rigorosamente con lettura friulana (tradotto, FIUME), collettivo di psichedelici contorti e asimmetrici (in senso di influenze, non ritmico). La descrizione direi che può anche concludersi qui perchè rischio di passare la barricata ed unirmi a quelli che si autovalutano il disco (e che un po' mi fanno ricordare i gruppetti di 16enni che si scrivono da soli la biografia sulla pagina facebook 

AL PASSATO REMOTO

e ovviamente non voglio). Non potendo dare dei giudizi da "critica" sulla musica che faccio io, mi limiterò a raccontarvi ciò che provo come umano quando suono. Mi piace. Mi piace tanto. Mi piaceva tanto anche con gli altri progetti in cui ho suonato nel passato (uno solo veramente sopra le righe, per quanto mi riguarda) ma questa volta c'è una magia che deriva probabilmente dall'affiatamento/ creazione. Una delle canzoni che sono contenute nell'album è il pezzo di musica che ho sempre voluto fare e dal vivo, ogni volta che la suono, che sia in saletta o davanti a 13 persone (massimo pubblico) mi esplode sempre il cervello, mi si scioglie cazzo, cola dalle narici. Una cosa incredibile, mi vengono quasi le convulsioni. Il pezzo si chiama "Minimal Animal" e contiene una percentuale ingestibile di Motorik. 
Venga corta el rollo. Vale. Aqui està.


Lo sto riascoltando proprio ora, scrivendo questo pezzo. Mi tornano in mente tante piccole cose, tante piccole cose felici. Emotivamente è un bel disco, lascio ad altri la necessità di giudicarlo. Ci sono tante cose dentro e queste tante cose si stanno ulteriormente modellando e affinando.
Una piccola riflessione mi viene spontanea: non so perché condivido questa cosa solo ora. Temo di non averne mai avuta la necessità? La volontà? Non credo che sia una questione di pigrizia, mi pare quasi di aver sottovalutato questo medium (e me ne scuso), come se il gruppo fosse qualcosa di troppo "reale" per poter abbassarlo ad un contenitore virtuale. Come detto prima devo sforzarmi affinché questo torni ad essere un luogo di contenuti e parole.
Ad ogni modo questo passaggio, questa cosa di portare anche qui l'esperienza del gruppo e le sue modifiche e giri di vite, apre scenari interessanti: spostare nuovamente l'attenzione sull'esperienza olistica del sottoscritto, liberarmi un po' da quella forma/pezzo che è la recensione e ripensare più profondamente al vissuto. Un po' più diario e un po' meno rivista musicale. Alla fine, pensandoci, quando scriviamo "blogspot", dopo il nome di un album, lo facciamo per cercare il torrent, o il mega, non certo per leggere le opinioni di qualcun'altro (a meno che il disco non sia in free download o a meno che la recensione non sia come quelle dell'epoca d'oro di Solomacello ( masturbazione tutt'ora compulsiva su questo ).
Detto fatto quindi, si riparte più carichi che mai con una linea di un certo tipo in testa. Forse potremmo ripensare anche al formato con cui queste cose vengono prodotte... magari una piattaforma diversa. Questo discorso lo abbiamo già affrontato in un'altra sede a quanto ricordo e la conclusione è sempre stata

L'AFFETTO

Quindi no dai direi che almeno quello non si cambia (perché finire così non mi va tanto)
Aspettatevi dei bei live report /tour report nei prossimo mesi (l'attività live si sta intensificando speriamo). E nell'attesa (se lo trovo ovviamente) vi lascio uno dei tour report che più mi hanno affascinato in gioventù (il gruppo in questione credo sia composto da dai quasi coetanei quindi all'epoca più che diciottenni): si parla de "Le Scimmie".

TRANSIZIONE



E una cosa l'abbiamo detta. Doverosa precisazione. Il secondo punto fondamentale che questo "Primo post del nuovo corso" vuole affrontare è una nostra vecchia conoscenza. Il Drone. O meglio, il Drone come punto focale della mia esistenza, ago attorno al quale ruota gran parte della produzione artistica che tento faticosamente (ma con piacere) di condividere, nonché modello di vita e metro di paragone con cui giudico ciò che è bene e ciò che è male. 
Questa sede mi permette facilmente approcci più filosofici rispetto alla studio, dove il flusso di coscienza non viene tradotto in parole ma direttamente in pulsazioni sonore. Il Drone come chiave ripetitiva del tutto, quella sorta di immagine che si intravede quando si pulisce la condensa che la realtà produce sul vetro dell'universo, il pattern che si nasconde dietro alle cose. Avete presente il simbolismo mistico di Baudelaire in "Corrispondenze"? Lo ritengo ancora il classico poeta da nichilismo adolescenziale (ci siamo rimasti un po' tutti dai, Spleen e Nice (non mi va di cercare come si scrive correttamente) e poi passaggio obbligato Marx, Lenin, Bakunin e poi avete rotto il cazzo dio ladro) ma nonostante questo in quel preciso poema ci azzecca perfettamente. Parla delle corrispondenze simboliche che i vari aspetti della natura si rimandano, in una sorta di linguaggio segreto apprezzabile solo ad un animo e ad una sensibilità particolari. Un mondo idilliaco e sinestesico accessibile a tutti ma precluso ai più, probabilmente (secondo lui ma facilmente trasportabile e contestualizzabile ora) a causa del sonno della coscienza culturale collettiva, unita alla perdita del contatto che la società ha da sempre avuto con i "pilastri viventi" così magnificamente descritti dal poeta. 
Mi è venuto in mente "Corrispondenze" per chissà quale tortuoso passaggio mentale ma il fatto è che il Drone, quella matassa inestricabile di densità sonora, pulsazioni, vagiti, urli, rappresenta per me il suono di tutte le cose, la sinestesia definitiva fra il reale e ciò che vi è posto immediatamente dietro. 
L'ascolto del Drone mi tocca nel profondo, muove cose che reputavo inamovibili e mi aiuta a decodificarle, esorcizzandole e salvandomi. Forse il punto fondamentale del discorso è proprio questo: l'azione salvifica della musica (in generale) e del denso Drone (in particolare) è la chiave di lettura delle mie esperienze di vita in questo periodo. In una visione retrospettiva non stento a credere che lo sia sempre stata. 
Il mio io presente guarda all'io del passato e ride compiaciuto perché sa quali incredibili ascolti lo attendono. Allo stesso tempo l'io futuro vede ciò che sono adesso e perpetua il ciclo infinito della scoperta, dell'epifania. Ho avuto questa visione esattamente la notte scorsa, nel dormiveglia. Potremmo definirla "il ciclo della scoperta", il divenire che spinge ed espande i confini della nostra esperienza. Se mi perdo in questa visione sono contemporaneamente eccitato per il futuro e calmo e rilassato per il presente. Mi consolo diciamo, perché il percorso è solo mio, unico, posso confrontarlo con quello degli altri, posso arricchirmi e arricchire, mi definisce come umano e come uomo/persona. Mi sento protetto e gratificato da ciò che ho scelto per stabilire i confini di me stesso.
E in tutto questo intricato processo di espansione il Drone gioca un ruolo di primo piano semplicemente perché, a costo di ripetermi, è la riduzione massima possibile di tutte le cose. La trama che ottieni quando scomponi un suono fino nel suo intimo, fino ad arrivare alla sua natura primordiale. Anche la musica concreta, che per un certo verso potrebbe essere vista come la rottura dell'ultimo grande ostacolo nel design e produzione del suono, impallidisce davanti alla monolitica maestosità del Drone. Non esistono più barriere, né concetti, né regole o paletti da rispettare.

Questo discorso è un comodo ponte per introdurre un altro importante aspetto della mia vita musica. Un sistema modulare è entrato nella mia vita e nel mio modo di concepire la produzione musicale (questo significa che ho anche lavorato, almeno temporaneamente).
I moduli sono diventati il medium per poter entrare nel flusso di coscienza della creatività. Lavorandoci si capiscono molte cose. Proprio l'altro giorno argomentavo, parlando con un'amica, le caratteristiche del processo creativo e, vista anche la (seppur piccola) diversità linguistica, sono stato forzato ad esprimere un concetto apparentemente impossibile da trasmettere, nel modo più assimilabile possibile: ne è venuto fuori che il (appunto) flusso creativo è una cosa che esiste di per sé, assolutamente staccata dall'azione del singolo. Un gorgo nero subcosciente collettivo al quale puoi accedere in vari modi ovviamente, la tecnica, la perseveranza, il messaggio, il caso. Non saprei collocare i moduli in una di queste categorie. Più che altro il modulo è il medium, il gorgo è il gorgo, non ha una connotazione anche perché puoi accedervi con gli intenti più disparati, non solo quello musicale.

La bellezza del modulo è l'approccio dialettico. Esistono due entità nel processo: tu e i moduli. Oh lo so che sembra una stronzata da freak elettronici ma è la verità. Esistono dei momenti in cui la volontà del modulo è soverchiata dalla tua, stupido umano che guardi con una lente d'ingrandimento il nulla che ti scorre davanti, altri in cui è il modulo che, grazie alla combinazione astrale che tu volontariamente o involontariamente gli hai offerto, soverchia in maniera incoercibile la tua di volontà. Inutile dire che il secondo degli scenari è quello più gratificante, in grado di aprire varchi fra le dimensioni, sconvolgerti la mente in modi per me indescrivibili. Ogni suono, un epifania. E qui entriamo, o meglio graffiamo solamente la superficie, in uno degli argomenti che più mi stanno a cuore in questo mondo: l'annosa battaglia fra le possibilità melodiche e quelle ritmiche. L'approccio modulare alla sintesi e alla scultura del suono ma sopratutto il fatto che con i moduli faccio SOLO droni, mi ha convinto ancora più fermamente che l'uomo è uno strumento tanto quanto la macchina e, insieme, si avviano alla scoperta dell'universo sonoro, non melodico. La melodia (occidentale ma anche no in realtà) è un'insieme di regole più o meno rigide per sequenziare lo spettro sonoro udibile. Regole che hanno una indiscutibile base socio - culturale e neuroacustica ma che mi sento addosso come una limitazione. In parte è anche un'ovvia scusa per le mie profonde mancanze tecnico / teoriche ma sento che questo aspetto si affievolisce mano a mano che scopro, ascolto, parlo, amo musiche e persone affini a questo modo di vedere le cose.
Ma non sono qui per giustificarmi o per combattere una certa idea. Le forze si equilibrano.
La logica conclusione di questo mio avvicinamento ai moduli è che, oltre ad un aggiornamento più o meno costante della barra qui a fianco (per chi non lo avesse ancora capito quel profilo soundcloud è il mio) potrebbe essere una buona idea parlare qualche volta della parte tecnica magari, oppure degli approcci che mi piace utilizzare, del modo con cui registro o cosa penso mentre contemplo il nulla sonoro che mi ritrovo spesso ad evocare.



Tornando al discorso  melodico - sonori di prima, credo che il tutto sia anche fomentato dal mio recentissimo ascolto (ieri notte) dell'ultima fatica degli Zu. Gli Zu mi pare superfluo ricordare chi siano e mi pare pure superfluo ricordare il mio incondizionato amore per loro. Nell'ultimo disco, Jhator, la dialettica melodico - sonoro è tirata ai limite del possibile, un po' come succede con gli altri artisti del rooster "House of Mitology". Una roba che si sentiva pure tanto nei Coil, o in certe produzioni Ulver/ Sunn per intenderci. Credo che Coil e Zu siano due esempi più calzanti per farvi capire il mio modo di vedere le cose: è ovvio che una canzone come questa è molto melodica, anche troppo melodica. Ma è la melodia che evoca lo scenario che vi si para davanti quando chiudete gli occhi? O è quell'amalgama sonoro di cui fa parte ANCHE la melodia? Di cui fa parte ma in cui si sente quasi fuori posto, schiacciata da cose innominabili che non hanno un luogo, non hanno un'apposita casella fra i semitoni e la cui evocazione non richiede il premere su di un tasto ma un vero e proprio rituale oscuro. Questo, questa sfera di vuoto è quello che voglio, con così tanti sforzi, comunicarvi.

Direi che il post comincia a farsi piuttosto corposo. Non mi va che perdiate la voglia di leggere e di sapere. Mi piace questo nuovo modo con cui guardo a blogspot e al formato blog in generale, vorrei che ne faceste parte il più possibile. Per questo motivo non mi dilungo oltre, pubblico il post e domani ne comincio la continuazione. Ho veramente un miliardo di cose di cui parlare!



domenica 19 febbraio 2017

Vektor - Outer Isolation


Parliamo dei Vektor. Parliamo in particolare di questo Outer Isolation. Se devo essere sincero ascolto i Vektor da un bel po' di tempo, fate pure un 5 anni o giù di lì. Ascoltare è però una parola grossa, diciamo meglio conoscere. Questo implica che, nonostante avessi sempre saputo della loro superiorità innegabile e sopratutto delle loro incredibili tematiche distopico - sci - fi, li avevo colpevolmente ignorati o non approfonditi. 
Ero molto dubbioso sulla scelta dell'album di cui parlare: da un lato c'era questo, dall'altro Terminal Redux che rappresenta l'ultima fatica del quartetto del demonio. Mentre TR si presenta palesemente come un'opera Sci - fi virando verso il concept, Outer Isolation non presenta queste velleità. Ovviamente la band ha cercato un maggior grado di complessità non solo musicale (e qui sta in realtà la negatività dell'ultimo disco) ma sopratutto di contenuti e tematiche. TR è complessissimo sotto questo punto di vista ma la ricerca di una simbiosi con la musica ha generato quelli che per me sono degli abomini, come l'inserimento degli archi, i cori, soluzioni quasi epiche ma che si adattano malissimo al tipo di materiale corrosivo e distruttivo a cui i Vektor hanno abituato gli ascoltatori nel corso del tempo. In ogni caso Terminal Redux, datato 2016, è un disco immenso, poliedrico e che merita ascolto e analisi (magari con il testo sotto mano). 

Detto questo. Outer Isolation è un disco devastante. Come sempre potremmo anche chiuderla qua. Affermazione definitiva e ve lo andate ad ascoltare con il mio giudizio da 10/10 che vi influenza nell'ascolto. No non mi permetterei mai di fare una cosa del genere e nemmeno di dare 10/10 ad un disco del genere che, per quanto adori, non è perfetto (come un po' tutte le cose, tranne Carboniferous). 
Perché è così una bomba? Per chi non lo sapesse i Vektor fanno un piacevolissimo thrash - black metal con delle tematiche scifi da far accapponare la pelle. Il loro cantante (Di Santo mi pare) che è pure l'autore dei testi, affronta tematiche incredibilmente profonde immergendole tante volte nell'attualità, come la distopia, la solitudine e l'alienazione tecnologica, le ipotesi psicologiche più oscure, il controllo, le sostanze psicotrope. Una sorta di Asimov cattivo o, se volete, un Dick più tecnologico e meno sociologo (ma ugualmente cattivo). Facile, per esempio, prendere Tetrastructural Mind, una delle canzoni più disturbanti del disco, sia in termini lirici che musicali, che affronta il tema della complessità della psicosi, delirio cosmico in cui la mente si sovrastruttura in 4 dimensioni, comprendendo la complessità del tempo - spazio

Tetrastructural minds
What once was liquid is frozen in time
A cold cubic cell traps all hope deep inside
Amebic dark, invading

e così via, questo è solo un piccolissimo esempio sia della canzone in sé, sia di tutto il disco. Anche Cosmic Cortex, giusto per fare un altro esempio così, al volo. Maestria di angoscia cosmica in "No one defies the ever-growing mind, all thought exhumed in the all-consuming Cosmic Cortex, Collect, infect" per dire. E approfittiamo di Cosmic Cortex per sottolineare li incredibili capacità vocali di Di Santo: a prescindere dal fatto che, dal vivo, se la suona e se la canta (e questo già gli fa onore) ma ascoltate la voce cazzo, è spaventosa. Forse ho fatto questa associazione al contrario cioè ho implicitamente affermato che abbia una voce black metal futuristica perché fa un black metal di quel tipo quando invece mi piacerebbe credere il contrario, in termini di causa effetto. Però a prescindere da queste situazioni ha una voce perfetta, davvero, riesce a trasmettere un disagio e un malessere puramente black metal. Quella voce così gutturale, roca ma al contempo capacissima di salire nella profondità siderali (qua c'è un appunto da fare: in Terminal Redux l'uso della voce è spaventosamente implementato, anche con fusioni particolari con effetti e musica il che rende questa differenza molto positiva rispetto a Outer Isolation, in cui la voce è usata più tradizionalmente). Ogni volta che Di Santo dice "Cosmic Cortex", nella canzone omonima ovviamente, potete avere un assaggio di quanto potente ed evocativa possa essere la sua voce. Stessa cosa vale per alcuni passaggi più meditativi di "Outer Isolation" in cui corrono brividi lungo la schiena mentre dall'oscurità percepite questa voce gutturale (super black metal) narrare la disperazione e l'allucinazione della solitudine siderale. 
Ma sta tutta qui la magia dei Vektor, quella capacità assolutamente isolata e incredibile di declinare le caratteristiche perfettamente conservate del black metal tecnico e di scuola americana in qualcosa di nuovo e assolutamente affascinante. Anche perché potremmo utilizzare questo gruppo per aprire una discussione ormai annosa, su come il black metal di scuola nord europea, una volta assorbito ed interiorizzato dalla scuola americana, sia letteralmente esploso in miliardi di declinazione che la purezza norvegese non aveva permesso. Gruppi come Panopticon, Wolves hanno sublimato l'oscurità in pastorale armonia, primordiale respiro del mondo. Altri hanno mischiato le carte con l'HC producendo ibridi mostruosi tipo Nails, All pigs etc.. Altri sono rimasti più Trve, nichilisti e rapidi, tipo Kreig. Altri hanno separato i contenuti, trovando nell'annichilazione e nella disperazione norvegese un faro guida, generando one man project da suicidio (Leviathan, Ashtur ecc..). Solo i Vektor hanno varcato la soglia scomponendo l'ortodossia, implementandola con tecnicismi inarrivabili (scuola tecnica death - thrash) e iniettando nuova linfa concettuale, le tematiche scifi. Ormai ci sembra una cosa collaudata ma, se ci pensate, la disperazione e la distopia futuristica sono una declinazione praticamente naturale a cui pensare quando si cerca qualcosa da associare al black metal. La freddezza del metallo. Ecco dove volevo arrivare

I VOIVOD SONO ASIMOV DEL METAL 
I VEKTOR SONO PHILIP DICK

Nel senso ok, a me piacciono tanto anche i Voivod, li ho pure visti dal vivo. Nonostante questo non riesco ad immaginare un futuro come lo immagino loro, tecnologico, al limite della negatività ma mai realmente e completamente negativo. I Vektor non lasciano spazio alla speranza, i Vektor dipingono un futuro che è 

SEMPRE UNA MERDA

e questa visione è perfetta perché dio cane stai facendo il black metal, non le canzoni dell'oratorio. E visto che sei nello spazio e non nella foresta dio cane è ovvio che è tutto super tecnico e velocissimo. Gli assoli a 1000 anni luce (all'ora). Se ti gira di fare un cambio di tempo lo fai. Cazzo tene tanto sei un mostro della tecnica. 
Disco capolavoro, alla fine mi sono perso ma ci tenevo ad introdurre lo spunto sul black metal di scuola americana. 



Lucio Battisti - Anima Latina


Chiariamo subito una cosa. L'indiscrezione è che Battisti fosse un fascio di merda, misogino, reazionario, borghese etc.. Io non stento a crederlo. A prescindere dal fatto che questo giudizio proviene dalla lettura dei testi delle sue più famose canzoni, scritte da Mogol e quindi sarebbe lui il fascista, in Anima Latina queste discussioni vengo polverizzate dallo spessore totale (nelle sue altre produzioni e quasi nella totalità della musica leggera italiana) delle canzoni. Un disco visionario Anima Latina, stracolmo di citazioni, rimandi, sperimentazioni. Mogol firma tutta la produzione vocale (Anima Latina fa parte del periodo Mogol di Battisti) mentre è Luci (oh) a pensare e gestire le musiche. Questa cosa mi è sempre sfuggita alla valutazione quando approcciavo battisti da adolescente: Battisti firma le musiche. Ragioniamoci un attimo. Battisti, Lucio, pensa e dirige la creazione della totalità della musiche di Anima Latina. Ascoltatelo con questa valutazione in testa. 

Detto questo, dopo un bel po' di tempo intercorso fra la prefazione e le righe che seguono, procediamo col parlare di questo disco.
Ho maturato la convinzione che, a parte pochissime eccezioni (Sognando e Risognando tratta da Umanamente il sogno, in primis) ci sono ben poche canzoni di battisti che mi affascinino come mi affascinano quelle contenute in "Anima Latina". C'è qualcosa di magico in questo disco, qualcosa di oscuro e occulto, come un rituale panamericano antico e proibito. La visione che battisti (o mogol) ha del latino america è in realtà molto occidentale, quasi borghese, da buon selvaggio ([...] da femmina latina a donna america, non cambia molto sai [...]) ma traspare una sorta di consapevolezza: come se, partendo dalla prospettiva "turistica" dell'album si sprofondasse in un vortice di lisergismi, profondità amazzoniche, riti orgiastici, sangue, balli sfrenati. La canzone omonima è paradigma di questo processo: il testo è naive, superficiale, quasi banale o addirittura irritante, irrispettoso della vera anima latina, come se dovesse essere mogol ad identificarne una (o qualsiasi altro occidentale). La musica però spazza via tutto, veramente, un vortice pastorale psichedelico, colmo di poliedriche soluzioni ritmiche, cori, chitarre incessanti, i fiati.

La sessualità, la femminilità, la penetranza nella terra e nelle sue origini è il mezzo, in anima latina, per il raggiungimento di uno stato spirituale a-temporale. Leggete la progressione nelle canzoni, la presa di coscienza, la consapevolezza del tutto attraverso l'altro. Anche attraverso gesti di una sessualità apparentemente banale e borghese ("Due Mondi" ma anche "Anonimo").
Gli apparenti punti deboli del disco diventano sacrificio, passaggio necessario per il raggiungimento della comprensione e questo li eleva a perle, porte, ponti verso l'astratto.

Il cuore pulsante di questo disco è un misto malinconico di prog, soffuso romanticismo, ritualità ingenua, magia cosmica. Tutti i brani sono speciali, ognuno porta dentro di se la chiave per leggere gli altri. Questo è un disco che si ascolta tutto intero, dall'inizio alla fine, oppure non si ascolta proprio.

Come tutti gli ascoltatori le corde emotive possono essere più sensibili a determinate frequenze più che ad altre. Ma un'introduzione eccelsa come ("Abbracciala, Abbracciali, Abbracciati") non può lasciare indifferenti. è il contenitore definitivo dove Lucio e Mogol riversano tutto quello che, musicalmente e poeticamente, verrà sviscerato nel corso delle tracce successive. "Mia cara cara amica. Che ne dice se noi, portiamo a termine la nostra dolcissima fatica? Allontaniamoci verso, il centro dell'universo". è la frase che chiude il brano ed è di una potenza inarrivabile. Mai nessuno è riuscito a scrivere (e a comporre musiche in simbiosi) qualcosa di così devastante. Si, uso una terminologia da black metal perché è l'unica maniera di esprimere un concetto così forte. Dentro c'è realmente tutto. C'è la ricettività, l'aspirazione allo spiritualismo, la perdita di sé stessi nell'altro, l'abbandono del proprio io o la sua esaltazione attraverso il donarsi, l'abbracciare. Altro che borghese e fascista. Tacciato di superficialità qua (se lo è mai stato) si redime creando un pozzo di emozioni da cui attingere sempre.

E uomini celesti, con i suoi tappeti sintetici provenienti dalla contemporanea scuola progressiva, è agrodolce, quasi disilluso, un circuito chiuso in cui la deprivazione dei sensi, l'inganno delle fedi, dell'altro, è solo palliativo ad un malessere che deve estirpato alla radice, elevarsi, annullarsi, perdersi. Qua la crema jazzistica si ritrova in una stanza atemporale, uno spazio chiuso in cui riversare la perfezione risparmiata in anni di pratica, qualcosa che va oltre al tecnicismo, una perla musicale che viva una vita propria ("uomini celesti ripresa").

E poi Due mondi ripresa che prende quell'innocenza, rapido amore, esplosione di sensualità e li rivolta come un guanto, espone gli aspetti distruttivi, melanconici di una relazione oscura, fatta da persone (apparentemente) diverse, abissi socio - culturali a separarli. L'ombra di un dubbio, il fantasma della violenza. Ed è paradigmatico il mettere questa ripresa melanconica dopo la canzone vera e propria. Una predizione, un futuro incerto che aspetta due amanti che già hanno esplorato tutti i possibili lati della loro relazione. Ed è pure uno stacco con il cuore pulsante del disco, la canzone omonima, di fatto, parte subito dopo questo piccolo buco nero di melanconia, quasi a voler separare una parte fisica, carnale, da una spirituale e antica; oppure soffermandosi su di lei, sulla bella latina e sottolineando lo stupore occidentale, borghese, di fronte a queste profondità culturali.

Le interpretazioni sono infinite in questo disco di battisti più che in altri. Lo sono per il semplice fatto che sono infiniti i contenuti, le dinamiche musicali e le profondità liriche. Io non credo esista un disco così profondo nella storia della musica italiana. Ecco, forse un altro aspetto da considerare è l'insolubile legame che unisce questo disco al contento storico in cui è immerso: anima latina parla ad un popolo italiano, non parla al mondo. L'esclusività non è qui vanto ma pura e semplice oggettività: nessuno può capire questo disco se non un italiano consapevole del rapporto socio - culturale fra musica. emotività, sacralità, politica, che esisteva in quel preciso periodo storico. Un'obiezione facile sarebbe quella di dire che chiunque, studiando, può accedervi ma in realtà manca una sorta di codice sociale, un atteggiamento di apertura e consapevolezza che ha caratterizzato quelle generazioni di artisti e musicisti e che noi, ora, possiamo percepire come strascico di quell'eredità.

Il disco si chiude con la coppia "Macchina del Tempo" / "Separazione naturale". Due brani che parlano per simboli e criptici messaggi. E sono al contempo dei capolavori di complessità progressiva. La melanconia qua si fa palpabile, tensione, esplosione, rottura. Una canzone controversa in "e certamente parleranno di sindrome depressiva, o più semplicemente diranno che è morto un altro matto..." In una società che ancora non accetta il suicidio come forma di disagio sociale, creare una canzone del genere ed accoppiarla a una musica spiazzante e nuova significa essere il canale attraverso cui emerge il suddetto disagio. Tolto questo appunto di condanna e protesta il finale del disco rimane forse l'apice tecnico di tutta l'opera, una somma jazzistica e progressiva in cui Lucio perde completamente la sua figura di narratore per fondersi con il contesto e suonare la voce, se non per poi chiudere con un disperato appello, una sorta di urlo in quel vuoto cosmico che è riuscito a raggiungere

SE NE ANDRÀ, MOLTO PRESTO.
QUALCHE FRUTTO DARÀ FORSE ANCORA, 
GENEROSA TALVOLTA COM'È LA NATURA 
MA SE AVESSI IL TEMPO PER AMARTI UN PO' DI PIÙ